Influencer digitali cattolici: l’utile analisi di un vescovo
sabato 23 marzo 2024
Joaquim Giovanni Mol Guimarães, 64 anni, è vescovo ausiliare di Belo Horizonte, in Brasile. Fino all’anno scorso era presidente della Commissione episcopale per la Comunicazione e fino a due anni fa rettore della Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais. Forte di questo suo doppio ruolo, ha commissionato nel 2021 a un gruppo di ricercatori della “sua” Università uno studio sugli «influencer digitali cattolici: effetti e prospettive», che ora è sfociato in un libro. Il vescovo ne ha firmato una stimolante presentazione: la si può leggere per intero, in portoghese-brasiliano, sul sito dell’Instituto Humanitas Unisinos (bit.ly/3VsXsOd) e, in un ampio estratto in italiano, sul blog “Vino Nuovo” (bit.ly/3IPhFX7). Un articolo di commento alle parole di dom Joaquim Mol, firmato da Natalia Zimbrao sull’edizione lusofona dell’agenzia “Acidigital” (bit.ly/4amGZPN), aiuta a immaginare l’ambiente digitale, molto più mosso di quello italiano, che i ricercatori hanno osservato. C’è «il prete e cantante Fábio de Melo, della diocesi di Taubaté», che ha «26,1 milioni di follower solo su Instagram». Poi ci sono fra Gilson Azevedo, «che ha riunito migliaia di persone trasmettendo il Rosario nelle prime ore del mattino»; padre Paulo Ricardo, «noto per i suoi corsi di formazione»; e padre Patrick Fernandes, «divenuto noto per l’umorismo con il quale risponde» alle domande degli utenti. Alcuni di questi figurano tra i «missionari digitali» con i quali è in contatto il Dicastero vaticano per la Comunicazione. Tutti contano i follower a milioni. Missione o professione? Il testo con il quale il vescovo Joaquim Mol presenta la ricerca è intitolato «Influencer digitali cattolici o evangelizzatori digitali cattolici?», e già il titolo anticipa la sua tesi. È un articolo severo, nel quale l’orizzonte comunicativo-culturale e quello teologico-ecclesiale si intrecciano con componenti specifiche della situazione socio-politica brasiliana, fortemente polarizzata. Descrivendo nell’ultima parte le «sfide e prospettive pastorali», il vescovo ricorda che quella dell’influencer digitale «è una professione», che coinvolge soprattutto «aspetti di marketing ed economici». Le «strategie algoritimiche delle piattaforme», alle quali l’influencer deve obbedire, «favoriscono gli elementi personalistici, il conflitto, il valore sensazionalistico...». Ecco allora che l'espressione dei contenuti, negli influencer cattolici analizzati dallo studio, «si ferma alla costruzione di stereotipi, basati su premesse moralistiche, fondamentaliste, dogmatiche, psicologistiche e dottrinali». Ne emerge, pur con delle eccezioni, «un cristianesimo solo formulativo e non significativo», nonché «distruttivamente critico nei confronti della linea istituzionale della Chiesa». D’altra parte non va dimenticato, dice monsignor Mol, che un comunicatore diventa un influencer digitale nella misura in cui i follower gli attribuiscono fama e influenza. Un’«interdipendenza» da analizzare, perché rivela, sia pure soggettivamente, «i valori, le norme, le ansie e le aspettative della società» e, nel caso degli influencer cattolici, della comunità ecclesiale. Conta evangelizzare La conclusione del vescovo brasiliano è molto ferma: «Questa ricerca dimostra che è possibile promuovere la formazione di responsabili cattolici che operino sulle reti digitali a patto che le loro intenzioni non comportino il desiderio di fama, visibilità e coinvolgimento secondo la logica mediatico-digitale». Di qui la preferenza che egli esprime, rispetto alla figura dell’influencer cattolico, per quella dell’evangelizzatore digitale, che si lascia ispirare e guidare non dal mercato ma dalla «finalità di evangelizzazione». Da parte mia aggiungo che non è, naturalmente, solo questione di nomi. Ma ciascuno dei nomi che sono stati utilizzati finora per chi annuncia il Vangelo e accompagna i fratelli-follower, con originalità e creatività, nei linguaggi e con le tecniche proprie dell’ambiente digitale contiene una sottolineatura. Indubbiamente “influencer cattolico” rimanda, specie in certe aree, al rischio di una compromissione con le logiche del marketing digitale. “Evangelizzatore” e “missionario” digitale – quest’ultima, ricordo, è la scelta fatta in seno al Sinodo dei vescovi e al Dicastero per la Comunicazione – paiono termini più rispondenti all’idea che ogni battezzato possa portare il Vangelo nel “continente digitale” e, insieme, inculturarvelo. Perché, come scrive monsignor Mol, confida soprattutto «nella possibilità di moltiplicare la Parola e il Regno di Dio, che agiscono come il granello di senape e il lievito nella pasta». © riproduzione riservata
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