venerdì 9 maggio 2003
Sono così poco compreso che non si comprendono nemmeno i miei lamenti di essere incompreso. Strappò lacrime a molti della mia generazione la lettura, durante l'adolescenza, del romanzo Incompreso che la scrittrice inglese Florence Montgomery aveva pubblicato nel 1889. Poi vennero i film di Comencini (1966) e di Schatzbeerg (1984) tratti da quelle pagine e, per i più giovani, c'è stato anche il film per la tv che Canale 5 ha messo in onda lo scorso anno, inondando di lacrime lo schermo. Sì, anche i ricchi piangono, anche loro muoiono di leucemia e hanno ragazzi sensibili e incompresi. In verità, il romanzo rivelava una certa finezza psicologica nel cogliere la tensione di un bambino costretto a soffocare i suoi slanci interiori da parte di adulti distratti e superficiali. È, invece, con una punta di ironia che il filosofo ottocentesco, da noi spesso citato, Soeren Kierkegaard nel suo Diario descrive l'incomprensione radicale da cui è circondato. Questa, comunque, è un'esperienza che tutti almeno una volta in vita proviamo. Ci sono incomprensioni che nascono dalla chiusura a riccio in noi stessi, dalla nostra incapacità di spiegarci. Ci sono incomprensioni che fioriscono da equivoci. Ci sono, però, anche incomprensioni dolorose che vengono alimentate dalla cattiva fede degli altri. Esse non procedono da un malinteso ma da una malintenzionalità, cioè dal desiderio perverso di demolire, di isolare l'altro. Un pizzico di questa cattiveria alberga un po' in tutti e qualche volta trova aperto un varco per effondersi, soprattutto quando consideriamo antipatico l'altro. Per questo può essere benefico provare l'incomprensione per saperla evitare nei confronti altrui.
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