giovedì 27 maggio 2004
La politica è forse l'unica professione per la quale non si considera necessaria nessuna preparazione specifica. Robert L. Stevenson lo conosciamo tutti per la sua celebre Isola del tesoro (1883) o per Il dottor Jekyll e mister Hyde (1886). Egli, però, ha pubblicato anche saggi e articoli socio-filosofici ed è da uno di essi (Familiar studies of men and books) che estraggo questa battuta folgorante sui politici. E' talmente ovvia che non ha bisogno di commenti e l'attuale politica si impegna con ottima lena a dimostrarne la veridicità. Vorremmo, però, allargare il discorso a una variante che pervade un po' tutte le classi e le istituzioni. E' quella dell'incompetenza, dell'approssimazione e, se si vuole essere più schietti, dell'ignoranza. Questo difetto è equamente distribuito in tutti gli ambiti e ha una caratteristica sconcertante: anziché essere quieto e procedere come una talpa, ama distinguersi, farsi notare, emergere come un pavone. L'impreparazione non ha pudore e si ostenta con grande serenità e sicurezza. Aveva ragione Giordano Bruno quando affermava che «l'ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale». Due sono, perciò le virtù sulle quali ci si deve esercitare così da ottenere un antidoto al rischio dell'arroganza ignorante. Bisogna innanzitutto imboccare la via faticosa dello studio, della conoscenza e della riflessione. E' necessario, poi, praticare l'umiltà di colui che - avendo visto quanto è complessa la realtà - sa sempre di non sapere perché infinito è l'orizzonte della verità. Altrimenti risuona il monito del Virgilio dantesco: «Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v'offende!» (Inferno VII, 70- 71).
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