mercoledì 12 maggio 2004
Rimango seduto ancora a lungo alla finestra aperta in questa notte. E confabulo con questa silenziosa, tenera, calda notte di primavera, piena, stranamente piena di enigmi e di segreti" E in questa notte vengo a sapere una cosa nuova. Che io amo Buzi. Che la amo con quel sacro amore, ardente come la Geenna, descritto così bene nel Cantico dei cantici. E' una dolce e quieta notte primaverile quella nella quale scrivo queste righe. Ho appena finito di leggere un delizioso libretto tradotto dall'ed. Adelphi e biblicamente intitolato Cantico dei cantici. È il racconto in quattro parti di un amore giovane, composto da uno dei maestri della letteratura ebraica yiddish, Sholem Aleykhem (1859-1916). Shimek, un ragazzino, s'innamora di Buzi, vezzeggiativo di "Libe-Libuzi", cioè "amore". Essi si nascondono i loro teneri sentimenti, pur vivendoli alla luce della poesia del Cantico. Shimek emigra in città: quando tornerà, scoprirà che ormai Buzi sta per sposare un altro e il loro amore resterà vivo solo nella memoria e nel racconto. Il libretto è un canto all'amore puro e delicato che può essere infranto dalle circostanze della vita. Ma è anche la celebrazione di una realtà che si sta perdendo, la tenerezza. La grossolanità, nei nostri giorni, la sbrigatività, l'eccesso di sessualità staccata dai sentimenti rendono le unioni aride. Anche nel matrimonio, a distanza di anni, bisognerebbe conservare un fremito di dolcezza, una finezza interiore, una freschezza primaverile di sentimenti. «Il sentimento - scriveva il romanziere francese H. de Balzac - non è forse tutto il mondo in un pensiero?».
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