domenica 6 aprile 2003
Generazioni di uomini hanno scaricato il peso della loro vita angustiata sulla parola "Dio" e l'hanno schiacciata al suolo; ora giace nella polvere e porta tutti i loro fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea. Hanno disegnato smorfie e vi hanno scritto sotto: "Dio". Si uccidono a vicenda e dicono "in nome di Dio". Aveva ragione il filosofo ebreo Martin Buber (1878-1965) - in questo brano della sua opera L'eclissi di Dio (ed. Comunità) - nel puntare l'indice contro tutte le degenerazioni, le bestemmie e gli abusi perpetrati nei confronti del nome di Dio. Egli continuava così: «Non possiamo lavare da tutte le macchie la parola 'Dio'; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacera com'è, innalzarla» sopra tutte le nostre miserie. Ecco, abbiamo bisogno di ritrovare l'uso puro del nome di Dio, non piegarlo al nostro vantaggio, non violarlo implicandolo nei nostri tristi giochi di violenza, non umiliarlo riducendolo a idolo. Nella Quaresima, tempo di purificazione, dobbiamo procedere verso una liberazione della nostra fede dalle pastoie della superstizione, dal gioco degli interessi, dalla banalità di una religiosità superficiale e abitudinaria, così da ritrovare il cuore autentico della spiritualità che è radice di giustizia e di verità. La vera fede non è una piccola spezia destinata a insaporire la vita, ma è un lievito che la trasforma. Dio non è un'idea più o meno comoda, ma una presenza che «atterra e suscita, che affanna e che consola», come diceva Manzoni nella sua ode Cinque Maggio.
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