In Italia i versi si fanno politica da Dante e Leopardi a Fortini e Volponi
sabato 7 aprile 2012
Mi sono deciso con troppo ritardo a esplorare l'imponente cofanetto con i tre volumi di Vanni Pierini Oh mia Patria (circa 2000 pagine, Ediesse), prefazione di Tullio De Mauro, introduzione di Raffaele Manica.Valeva la pena decidersi. De Mauro puntualizza insistendo sul policentrismo italiano e sul conflitto fra unità nazionale e diversità regionali. Manica riflette con acrobatico acume sul rapporto fra poesia e storia, poesia e cronaca, cronaca e leggenda, dalla Commedia dantesca alla poesia piuttosto giornalistica («ma ambiziosamente, definitivamente, quasi cocciutamente poesia») di Pasolini. Da storico della lingua De Mauro critica la tradizionale «forma mentis dell'intellettualità italiana: sorda, più o meno consapevolmente e volutamente, alle ragioni delle differenziazioni interne al paese», e loda gli «eroici sforzi intellettuali» in senso contrario di Gramsci, don Milani, Ernesto De Martino. Da critico letterario Manica osserva che «l'abitudine di leggere la poesia consiste nel fatto che ci siamo persuasi a leggerla per il suo rilievo lirico, mettendo ai margini il suo rilievo di documento, tranne quando il documento sia linguistico»: ma è esistita una poesia che nasce da contenuti sociali e pubblici mostrandosi «disponibile sperimentalmente a ogni realtà» (e qui Belli viene indicato come il punto più alto dopo Dante).Quella di Pierini è un'antologia, per quanto sterminata: è quindi ellittica nonostante la ricchezza delle scelte. L'arco cronologico è bisecolare, 1796-2011. Si va da Foscolo, Manzoni, Leopardi a Fortini, Volponi, Majorino, Giorgio Gaber, Alberto Bellocchio, Patrizia Cavalli e molti altri. Mi sorprende che il più italiano, sociologico, narrativo e comico-realistico poeta dell'ultimo mezzo secolo, Giovanni Giudici, abbia attirato poco l'attenzione di Pierini. Comunque i tre grossi tomi sono lì per essere letti, consultati, studiati. Parlano da sé e insieme offrono spunti per l'elaborazione di quell'autocoscienza nazionale che non smette di essere il nostro dovere, rifugio e tormento.
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