venerdì 3 aprile 2020
La parziale solitudine in cui tanti si sono trovati costretti in queste settimane ha provocato comportamenti nuovi o ne ha esasperati di vecchi. Uno di questi – di modello, diciamo così, giornalistico–trombonesco – è quello di migliaia, anzi di milioni di persone che, grazie a internet, si sentono di dover dire la loro su tutto. La tendenza era in atto da tempo (lo straparlare, il pontificare e anche l’insultare chi la pensa diversamente) ma il coronavirus e, appunto, una maggior condizione di solitudine l’hanno esasperata e oggi si è circondati da “pensatori” smaniosi di dire la loro sull’epidemia e i suoi dintorni immediati come sui più lontani. Chiamiamoli appunto gli smaniosi. Ricordo nelle acute descrizioni dei tipi umani femminili tracciati tanti anni fa da una grande osservatrice, Camilla Cederna, la categoria delle “smaniose”, signore onni–saccenti e iper–attive, che sapevano tutto e sparavano giudizi su tutto, ma in piccole cerchie molto borghesi. Oggi gli smaniosi sono ambisesso e non si limitano ad ambiti più o meno domestici o di clan, ma affrontano i massimi problemi dell’epoca e del mondo, e hanno un’opinione su tutto, e soprattutto, va da sé, sul coronavirus e i problemi che pone e le reazioni che suscita. Per fortuna, non sono molto “tecnologico” e non so “smanettare” adeguatamente e so anche selezionare a colpo d’occhio tra i messaggi che arrivano via email. Ma, da dentro una redazione, ne leggo e ne sento, di voci eccitate che si preoccupano di tutto e, soprattutto, hanno da dire su tutto! E mi tornano in mente i documenti di gruppi di studenti sessantottini non italiani ma statunitensi, che sollecitavano l’aiuto e la partecipazione al movimento di «esperti e rossi», di persone con una specifica competenza su argomenti fondamentali, ma che fossero al contempo dei “compagni”. Ce ne furono molti, economisti come Sweezy, dei sociologi come Goodman o Ivan Illich (che aveva al suo arco tante competenze), linguisti come Ghomsky, psichiatri come Cooper, Laing o Basaglia eccetera. Vennero molto “usati” dalla parte più matura dei movimenti. Si ricorreva alla loro competenza in campi fondamentali, la loro sapienza doveva far conoscere meglio la società in cui si viveva e ad elaborare le strategie e tattiche di lotta più efficaci. Si cercava insomma di riconoscere le competenze, servirsene e diffonderle, renderle vive nelle pratiche di lotta. Quella generazione – anche per colpa della sua parte più ideologica – ha visto fallire la sua azione in parte per la sua superficialità e in parte per l’enorme forza del nemico, e si è rifugiata nella “cultura del narcisismo” che, virus aiutando, esplode oggi nelle milioni di chiacchiere, degli «io penso che», degli sfoghi e dei proclami degli “smaniosi” esperti di niente e, ovviamente, ben poco “rossi”.
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