Il vigneto Italia perde ettari
sabato 19 gennaio 2008
In sei anni la vitivinicoltura italiana ha perso l'equivalente in superficie dell'Umbria. È un dato che fa impressione e che, pur con tutti le precisazioni del caso, deve fare pensare molto sul futuro del comparto che, è bene ricordarlo, continua ad essere uno dei più importanti al mondo.
A lanciare l'allarme sulla situazione del «vigneto Italia» è stata nei giorni scorsi l'Unione italiana vini (Uiv) che ha parlato molto chiaro: dal 2000 al 2006 sono andati perduti 13.552 ettari coltivati a vite. In termini percentuali si tratta di un misero -2%, ma in termini assoluti la situazione è ben diversa. Attualmente, quindi, la superficie coltivata a vite da vino che l'Italia ha a disposizione è pari a 678mila 868 ettari. E non basta perché la perdita di ettari si è verificata in molte aree del Centro del Sud d'Italia, cioè in alcune delle aree più importanti del settore.
A conti fatti, secondo i dati Uiv, al calo generale hanno contribuito in maniera eguale il Centro (113.451 ettari) e il Sud (329.868), con perdite di superficie valutate al 3,9% e 3,5%. Diversa la situazione al Nord i cui vigneti sono cresciuti dell'1,2% fino a 235.549 ettari. Il problema vero è ovviamente il futuro, non certo il passato. Sempre secondo l'Uiv, infatti, la situazione potrebbe peggiorare con l'entrata in vigore della nuova Organizzazione comune di mercato (Ocm) che, da quest'anno, con il meccanismo degli espianti, potrebbe dare una seria spallata se i produttori italiani decideranno di aderirvi in maniera pesante.
I risultati di sei anni di diminuzioni di superficie, d'altra parte, arrivano
in un momento delicato della congiuntura vitivinicola nazionale, e non solo per l'applicazione prossima della Ocm. Sempre secondo l'Uiv, infatti, il 2007 si è chiuso con esportazioni in crescita (+10% circa in valore), ma con una vendemmia in calo del 15-18%, prezzi in tensione verso l'alto e consumi ancora una volta in diminuzione (i dati dell'Osservatorio Ismea-Nielsen parlano addirittura di una perdita del 6,5% degli acquisti domestici). In altre parole, la formula esplosiva che ha alla base una produzione in forte diminuzione si
traduce in prezzi che salendo comprimono ulteriormente i consumi. Basta pensare che addirittura i prezzi nel novembre scorso hanno fatto toccare, anno su anno, una variazione positiva del 32,2%, con punte del +42% per i bianchi da tavola e di oltre il 35% per i rossi. Mentre le denominazioni d'origine hanno avuto aumenti tendenziali dei prezzi alla produzione tra il 14 e il 22%. L'unica valvola di sfogo sembra quindi quella delle esportazioni.
A questo punto che fare? Soprattutto di fronte a concorrenti come la Spagna, l'Australia, l'Argentina e la stessa Francia che, invece, corrono soprattutto sui mercati internazionali. La formula segreta non esiste, ma la cura estrema alla qualità e al marketing, alla ricerca di nuove formule commerciali e mercati, oltre che del prezzo più consono, sembrano essere i soli strumenti in mano ai nostri produttori.
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