giovedì 24 gennaio 2013
Milano, marzo 1992. Quando l'ho saputo sono rimasta senza fiato. Poi ho richiuso la busta e sono uscita dalla farmacia su corso Buenos Aires nell' aria ancora fredda, in un sole pallido, presa da una incontenibile ebbrezza. Aspetto un figlio, il primo. Un telefono, un telefono per favore, è urgente. Poi, annunciata la notizia, mi sono specchiata in una vetrina, e mi è parso strano, di sembrare uguale a sempre. Solo gli occhi, forse, più assorti. Come è possibile, mi chiedo, che dentro di me vada formandosi un figlio, senza che io debba preoccuparmi di studiare, di sapere niente? E quanto sarà grande adesso, due centimetri? Il cuore, ho letto su un libro, a questa settimana già batte. E le mani, hanno già forma le sue mani? Io, non so fare nulla. Chi tesse mio figlio, chi lo cesella con precisione da orefice? (Mio Dio, fa' che non sbagli, il tessitore).E a un semaforo, o la sera in cucina, ogni tanto quel pensiero che torna. Io sono qui che faccio da mangiare, e nostro figlio intanto, sapientemente, in un progetto antico, cresce.Vertigine. Avvertire di essere un niente, una creatura condotta da un creatore. E che questo figlio non è davvero mio, ma gli appartiene. E però, già da madre, domandare: fa', ti prego, che non sbagli, il Tessitore.
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