domenica 28 novembre 2004
Non vergogniamoci della croce di Cristo. Se anche un altro la nasconde, tu sègnala pubblicamente sulla fronte. Fatti questo segno quando ti metti a mangiare e a bere, quando ti corichi o ti alzi, quando devi parlare e quando devi viaggiare. Poni quel segno su ogni tua azione, così che su di essa si erga colui che fu crocifisso e ora è nell'alto dei cieli. Nel 1988 davanti a uno dei soliti rigurgiti ideologici che voleva rimuovere il crocifisso da ogni luogo pubblico la scrittrice Natalia Ginzburg sull'Unità
aveva dichiarato in un articolo intitolato Non togliete quel crocifisso!: «E' là muto e silenzioso. C'è stato sempre. E' il segno del dolore umano, della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo». Certo, per il credente è un segno ulteriore di speranza e di salvezza, ma è indubbio che la croce può parlare a tutti, cristiani e agnostici.
Per noi, proprio perché è espressione di amore e di liberazione, dovrebbe avere una presenza "esistenziale". E' ciò che suggerisce nella sua IV Catechesi Battesimale Cirillo, vescovo di Alessandria d'Egitto (IV-V sec.): il segno di croce dovrebbe accompagnare la nostra vita nel suo svolgersi, nei suoi istanti capitali, nei suoi atti quotidiani, testimoniando la nostra fede ma anche la consacrazione che noi facciamo di noi stessi e delle nostre scelte. Un altro grande Padre della Chiesa, s. Giovanni Crisostomo (IV sec.), nella sua Catechesi per i neofiti ammoniva: «Sègnati la fronte, la bocca e il cuore. Mettiti al sicuro sotto questo scudo giorno e notte e nessun male ti coglierà».
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