venerdì 3 novembre 2006
Chi ragiona male nei suoi pensieri e ha tra le mani un bene non ne è consapevole se non quando l'ha perso. Mi è venuta nostalgia in queste tarde serate invernali, sia che mi trovi a Milano sia che le conferenze mi conducano per l'Italia o per l'estero, di leggere gli antichi testi greci, ricordo appassionato del mio liceo. Così, sto ora seguendo - con qualche fatica, ma con un indubbio fascino - l'Aiace di Sofocle: m'imbatto, dunque, nei due versi (vv. 964-965) che sopra ho tradotto. A parlare è Tecmessa, la moglie di Aiace: essa descrive il rimpianto che la morte del suo amato provocherà proprio in quei capi achei che l'avevano osteggiato da vivo. È, questa, una sorta di legge che colpisce tutti: quanta amarezza proviamo ricordando certe frasi cattive scagliate, in un momento d'ira, contro una persona cara ora scomparsa. Oppure il rimpianto ci attanaglia perché non abbiamo saputo né capire, né accogliere, né essere grati per l'amore donatoci da una persona che ora non c'è più. Purtroppo non si conosce bene il bene se non quando l'abbiamo perso. In tedesco c'è un proverbio che, tradotto, afferma: «Si apprezza la fonte solo quando è prosciugata». E Leopardi ammoniva: «Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta». Allora, se dobbiamo ringraziare una persona per il bene che ci ha fatto, se dobbiamo accettare un affetto, lodare un merito, riconoscere una qualità, facciamolo subito, con sincerità e immediatezza, prima di provare la tristezza della malinconia e del rimpianto, quando sarà impossibile farlo.
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