domenica 10 settembre 2006
Se il cuore umano può fare qualche sosta quando sale verso le altezze meravigliose dell'affetto, raramente si arresta quando discende sul ripido pendio del rancore. L'avevo letto da ragazzo in un'edizione popolare e m'ero commosso per questo amore paterno invincibile e umiliato: il Papà Goriot che Honoré de Balzac pubblicò nel 1834 è un romanzo che meriterebbe ancor oggi attenzione, soprattutto quando si vedono anziani del tutto dimenticati dai figli. Ma quelle pagine contengono altri vari frammenti di verità quotidiane, come quella che ho citato oggi. L'immagine è quella di un monte la cui vetta è immersa nel sole dell'amore. L'ascesa è faticosa ed esige soste: conquistare e donare affetto non è così facile come sembra, esige esercizio, distacco, generosità. E spesso si procede lentamente. Ben diverso è il sentiero dell'odio: una volta raggiunta la cima di quel monte, se si decide di abbandonarla per ritornare alla nebbia della pianura, la discesa è veloce e ben presto la luce cristallina dell'amore resta alle spalle. La corsa nel territorio oscuro del rancore è rapida, quasi spontanea e spesso sfrenata. Anzi, talvolta non ci si accorge neppure di passare progressivamente dall'affetto alla detestazione tanto l'oscillazione tra i due estremi è facile e veloce. E paradossalmente ciò che sembra avere più consistenza e permanenza non è l'amore ma piuttosto la recriminazione e l'avversione. Il famoso cancelliere di Enrico VIII, Tommaso Moro, che l'aveva sperimentato sulla propria pelle, confessava: «Gli uomini, se qualcuno gli fa un torto, lo scrivono sul marmo; ma se qualcuno gli usa un favore, lo scrivono sulla sabbia».
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