domenica 22 aprile 2007
Forse solo in paradiso l'umanità vivrà finalmente per il presente; finora, infatti, è sempre vissuta d'avvenire.Una parabola ebraica racconta che un giorno Dio mandò l'angelo Gabriele sulla terra a offrire almeno a un uomo il dono puro della felicità. L'angelo, però, ritornò stringendosi ancora tra le mani quel regalo e a Dio che chiedeva spiegazioni replicò: «Ho trovato che tutti gli uomini  non avevano tempo di ascoltarmi perché avevano tutti un piede nel passato e uno nel futuro; nessuno badava al presente». Qualcosa del genere suggerisce anche il grande scrittore Anton Cechov in un appunto dei suoi diari, quello che abbiamo proposto per questa nostra riflessione. Effettivamente se osserviamo il nostro stesso comportamento, è raro il caso in cui ci fermiamo a gustare il presente, anche perché - come già notava s. Agostino - esso subito ci sfugge di mano. Siamo, dunque, sospesi tra la nostalgia o il rimpianto per il passato e l'attesa di un futuro desiderato come migliore. Si genera, così, una sorta di alienazione che è fatta di scontentezza, di insoddisfazione, di delusione permanente. Cechov giustamente osserva che sarà proprio l'eternità del paradiso, "puntuale" nella sua pienezza, senza un prima o un poi ma perfetta nell'attimo (si ricordi il desiderio dell'istante pieno, bello e infinito che pervade l'anima del Faust di Goethe) a strapparci dalle illusioni e a immergerci nella gioia del presente. Ma già ora - forse proprio in questa domenica - potremmo fermarci per prendere in mano la nostra realtà attuale che è già sintesi di ciò che siamo stati e che contiene in germe ciò che saremo. È questa la vita reale, è ciò che siamo.
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