venerdì 19 gennaio 2007
C'è una cosa dotata di una capacità straordinaria d"esasperare che una persona non raggiungerà mai: un pianoforte.Vorrei salutare da queste righe una lettrice costante del "Mattutino" che è anche una giovane e ormai affermata concertista di pianoforte. Lo faccio, però, con una riflessione paradossalmente provocatoria in cui mi sono imbattuto leggendo un articolo nel quale si citava questa frase desunta da uno dei sette romanzi che compongono il monumentale ciclo dell"opera Alla ricerca del tempo perduto del francese Marcel Proust (1871-1922). Ad alcuni sarà capitato di avere come coinquilino in un palazzo un ragazzo che sta imparando a suonare il piano o il violino o un altro strumento musicale: se i muri sono esili e le finestre aperte, il tormento è assicurato, perché tutti gli sforzi di distrazione cadono miseramente di fronte all"intoppo atteso e sempre inesorabilmente non superato durante la centesima esecuzione di uno spartito.Certo, una prima lezione che possiamo raccogliere è di comprensione. Non è forse vero che da secoli s"insegna che «sbagliando s"impara»? Un altro scrittore, l"implacabile Oscar Wilde, ricordava di aver visto in un locale americano questa scritta sopra il pianoforte: «Non sparate sul pianista. Fa del suo meglio». Un po" di paziente sopportazione è sempre necessaria nella vita, soprattutto quando si è di fronte a tanta buona volontà. C"è, però, una seconda lezione. In certe arti (e forse un po" in tutte le professioni) la buona volontà non basta, ci vuole il talento che è un dono. Ciò che, ad esempio, la nostra pianista " che si chiama Chiara " ha avuto in sorte. E allora perché imporre certe fatiche a sé e agli altri senza prima una seria e umile verifica delle proprie capacità e dei propri doni?
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