domenica 6 maggio 2018
Edunque ero andato dall'altra parte della terra, avevo attraversato tutti quei naufragi solo per correre dietro a uno che nel nostro convento occupava una camera accanto alla mia. Avrei potuto fare sei passi e bussare alla sua porta. Ne avevo fatti sei milioni e sbattuto la testa contro i muri. Ora mi dibattevo tra alti alberi scorticati – le sapotacee produttrici del chewing-gum – inciampavo nelle loro radici, scattavo come da blocchi di partenza. Un'iguana sfidò la mia sollecitudine. Gridavo: «Ugo! Fratel Ugo! sono io!» Movimenti di foglie, scricchiolii di rami, mi assicuravano del suo passaggio. Poteva avere al massimo una trentina di falcate di vantaggio. Perché non mi rispondeva? Perché non ritornava da me, lui che sempre mi aveva riacciuffato quando mi ingegnavo a fuggirlo? È vero che l'ultima volta volevo spaccargli la testa: «È finita! Non cercherò più di ucciderti! Te lo prometto! Ti amo!» Questa volta fu una specie di civetta a fissarmi con occhi francamente scettici. Ugo forse pensava che ero ancora mosso solo dall'interesse. Fino a quel momento ero sopravvissuto grazie a lui. All'inizio il suo gusto per quelle orrende immaginette sacre mi aveva fatto credere che fosse lontano dal mio realismo. Ma il mio realismo era intellettuale e il suo cattivo gusto era quello di un contadino che sapeva distinguere una radice commestibile: «Non è per i miei comodi!» Mi scagionai con una voce sempre più rotta dall'affanno. «Oggi… sono pronto… a morire per te!... al tuo posto!». La foresta continuava la sua vita indifferente alle mie disgrazie. E comunque, chi avrei potuto convincere? Pretendevo di morire al posto di un altro, mentre non ero neanche capace di vivere al posto mio. Ho conosciuto due benedettini che facevano lunghi giri nel loro monastero per non rischiare di incrociarsi in un corridoio. Quando si trovavano nel coro salmodiavano Com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! – Che incoerenza! mi dicevo quella volta. Il giorno della mia consacrazione, avevo giurato a me stesso di non essere come loro. Avevo preso a modello la vecchia piccola suor Prisca, la cuoca. Somigliava a un topo grigio, si nascondeva dietro alle sue frittate, si meravigliava arrossendo quando qualcuno si degnava di posare lo sguardo su di lei… Quell' umiltà era tutta la mia ambizione… e già allora tutta la mia ambiguità.
Come avevo potuto essere tanto indifferente a Ugo quando abitavamo la stessa casa? Come possono due esseri che hanno fatto professione di amarsi l'un l'altro – come Gesù li ha amati – arrivare a detestarsi come nel mondo due nemici non fanno? Perché esiste una qualità di odio che si incontra solamente nelle comunità religiose – un odio tipicamente cristiano, freddo, abissale, conficcato tanto più profondamente nel cuore quanto non si osa farlo apparire. Non spera di meglio che cogliere il fratello in fallo. Tende l'altra guancia per sentirsi un po' di più nel diritto di odiare: “Offendimi, affinché il mio desiderio di vederti morto sia un po' più legittimo, e che io possa recitare al tempo stesso la parte della vittima e del gran signore, se lo voglio, accordandoti un perdono che ti opprime!”
Come mai questo “miracolo di odio”? Forse perché le piccole vessazioni, diluite e smorzate nella grande confusione del mondo, appaiono nella calma del convento come offese intollerabili? O forse perché il dover riconoscere Cristo nel prossimo non fa che rendere più evidente il contrasto? Oppure perché, al contrario, l'esperienza quotidiana delle proprie mancanze al solenne impegno di vivere nell'amore, procura ripulsa di se stessi e persuasione che il fratello veda in noi solo tale decadenza, così che uno crede di trovare sollievo rompendo quello specchio di rimproveri che rivolge a se stesso? O infine perché, proiettandosi nelle altezze divine, si trascura ogni cortesia umana immaginando che lo Spirito Santo supplisca ai nostri difetti di buona creanza, e si alleva dentro di sé una bestia che aspetta solamente il più piccolo sgarro per balzar fuori e sbattendo contro le sbarre delle apparenze ecclesiastiche non fa che infuriarsi di più?
Non lo so. Ma si tratta proprio di una specie di miracolo, di un segno negativo del soprannaturale. Affinché una tale malattia esista, bisogna che sia la privazione di una salute superiore. Affinché un desiderio così fratricida abbia luogo, occorre che la nostra consanguineità in Cristo sia qualcosa di molto reale. Se si trattasse, come in un'azienda, solo di convergenza di interessi o di divisione degli utili, ci si potrebbe separare al termine di un processo equo davanti a tribunali umani. Qui il ricorso è impossibile: la giustizia non può essere resa, il legame non può essere troncato, prova che queste persone che si esecrano senza poter risolvere la loro disputa sono fratelli in nome di un mistero profondo. Vedete come si amano, si diceva dei primi cristiani; degli ultimi cristiani si potrebbe dire con non meno di stupore: “Vedete come si odiano”. La contro-testimonianza può essere così straordinaria da ancora testimoniare, e questo non diminuisce per niente il peccato di quelli che lo fanno, non diminuisce per niente il mio peccato.
(35, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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