mercoledì 19 maggio 2004
Un buon matrimonio è quello in cui ciascuno dei due nomina l'altro custode della sua solitudine. Il matrimonio deve continuamente combattere contro un maestro che tutto divora, l'abitudine. Mese per eccellenza "nuziale" (tante coppie scelgono, infatti, questo periodo primaverile per consacrare il loro amore), maggio ci offre l'occasione di riflettere su questa realtà radicale a cui tutti siamo legati, almeno come figli. Sul matrimonio si sono costruiti infiniti proverbi, battute, ironie, barzellette spesso di impronta maschilista. Sono andato, invece, a cercare due considerazioni che possono stimolare una riflessione più ampia. La prima, a prima vista, è amara e viene dall'epistolario di quel grande poeta austriaco che fu Rainer M. Rilke (1875-1926). Sì, purtroppo in molti casi il matrimonio si riduce ad essere una convivenza di solitudini, gestite alla meno peggio, ma sempre pronte a esplodere. Tuttavia c'è un aspetto positivo da segnalare in quella frase: certo, bisogna essere "una carne sola", come dice la Bibbia, amarsi totalmente, ma sapendo rispettare l'altro, lasciandogli una sua dignità e una sua intimità spirituale, perché anche «le corde di un liuto sono sole, sebbene vibrino di una musica uguale» (K. Gibran). La seconda osservazione è del romanziere francese Honoré de Balzac (1799-1850) e punta su un rischio indiscutibile della vita in comune, l'abitudine. Essa è positiva quando significa consuetudine e sintonia, ma guai a perdere ogni freschezza, cadendo nel grigiore assoluto e scontato. Con pazienza e amore bisogna sempre introdurre un filo di novità, tenerezza, sorpresa.
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