giovedì 1 marzo 2007
Due uomini s"addentrarono nel grande mare della religione. Uno ne uscì vivificato e trasformato. L"altro vi annegò.Nel Settecento il filosofo inglese David Hume dichiarava: «Gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, quelli della religione sono sempre pericolosi». Effettivamente una religiosità che impazzisce diventa esplosiva e ne sappiamo qualcosa attraverso certi atti del fondamentalismo islamico. Bisogna, però, sempre distinguere tra la religione in sé, col suo messaggio, e la pratica personale. È ciò che ci ricorda l"aforisma dell"antica sapienza orientale che ho voluto oggi proporre. Come è possibile che lo stesso mare in cui si bagnano due uomini faccia uscire l"uno purificato e limpido e l"altro sporco e avvelenato?La risposta non è nel mare ma nel modo con cui ci si immerge, nell"uso che se ne fa, nell"incapacità di nuotare in esso. Così, aveva ragione lo scrittore agnostico Jorge Luis Borges quando ammoniva che «è più facile morire per una religione che viverla assolutamente». C"è, dunque, un"adesione che nasce da una fede autentica e che rende l"esperienza religiosa sorgente di vita per sé e per gli altri e c"è un uso spregiudicato o fanatico della spiritualità che semina morte in colui che lo adotta e in chi gli sta attorno. Le parole di s. Paolo mantengono sempre il loro valore generale: «La lettera uccide, lo Spirito dà vita». C"è una religiosità gretta e meschina che paradossalmente allontana da Dio e dal respiro libero e gioioso del suo Spirito. È per questo che dobbiamo senza sosta sorvegliare la nostra interiorità, custodire la purezza della fede, verificarla sul metro dell"amore.
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