martedì 12 aprile 2005
Quando entro per l'incontro con i giovani, molti mi danno la mano. E io ho fatto un'osservazione: quando mi danno la mano, guardano verso il fotografo, pensando alla fotografia col Papa.
Gli innumerevoli servizi televisivi e giornalistici dedicati a Giovanni Paolo II hanno messo in luce soprattutto la straordinaria grandezza religiosa, culturale, "politica", umana di questo Papa. Solo raramente è affiorato un aspetto, forse secondario, ma significativo: quello della sua ironia, affidata spesso a battute immediate che talora irrompevano anche nella ieraticità dei discorsi ufficiali. Così, un volumetto delle edizioni San Paolo aveva raccolto nel 2000, sotto il titolo In confidenza, una serie di queste frasi semplici e spontanee. Ne ho citata oggi una del 1995, particolarmente brillante perché coglie da un'angolatura originale e unica una sorta di sindrome del nostro tempo, quella dell'"apparire", dell'immagine.Anche in un momento così eccezionale e coinvolgente com'è quello dell'incontro col Papa, ecco che questi ragazzi non dimenticano l'occhio della telecamera o del fotografo. Karol Wojtyla, che era stato anche attore, guarda con divertita bonarietà a questo comportamento che è comunque uno specchio di un atteggiamento universale, che però si è accentuato in questi tempi mediatici. In realtà, Giovanni Paolo II, che pure è stato il Pontefice più "esposto" agli obbiettivi, ci ha ininterrottamente ammoniti sul valore dell'interiorità. Certo, senza dimenticare che è necessario farla brillare e darle visibilità, come diceva Cristo: «Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il candelabro perché faccia luce a tutti quelli che sono in casa» (Matteo 5, 15).
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