sabato 3 agosto 2002
Parla poco, odi assai et pensa al fine di quel che fai.Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci.Due spunti di riflessione dalla genesi molto diversa ma dalla finalità abbastanza coincidente. La prima frase è scritta su una parete della sala capitolare dell"Abbazia di Chiaravalle di Fiastra (Macerata) e mi è stata segnalata da un lettore di Pesaro. La seconda è, invece, desunta dal celebre romanzo Il dottor Zivago di Boris Pasternak. L"accento cade proprio sul fine della vita: ci preoccupiamo spesso della fine della nostra esistenza, timorosi di vederla avanzare troppo in fretta, ma non ci interroghiamo più di tanto sul fine di tutto l"agire, il pensare, l"amare e il detestare che compone il flusso dei nostri giorni.E" per questo che si "tira a campare" senza fremiti o ideali; è per questo che ci si accomoda nell"abitudine e nella banalità senza mai «lanciarsi in avanti, verso la perfezione», come suggerisce lo scrittore russo. Cristo è arrivato al punto di proporci di essere «perfetti come il Padre che è nei cieli». Noi, invece, ci accontentiamo di rasentare la terra, accettando solo piccole mete e talvolta rifuggendo anche da esse per ridurci a un grigiore senza bagliori. Riscopriamo allora, da un lato, la forza della grazia divina che può sommuovere anche un essere inerte e, d"altro lato, la vitalità della nostra volontà che ci spinge a levarci in piedi e a «lanciarci in avanti».
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