sabato 24 gennaio 2004
Per un dolore vero, autentico, anche gli imbecilli sono diventati qualche volta intelligenti" Questo sa fare il dolore. Non so se ho già citato, in una delle non rare occasioni che abbiamo avuto per riflettere sulla misteriosa realtà della sofferenza, una frase del racconto I due autisti di Dino Buzzati: «Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta un'eternità per cancellarlo». Oggi ritorno sul tema del "vero dolore" e della sua straordinaria incisività con un'altra frase in cui m'imbatto leggendo un articolo. È una citazione dai Demoni del grande scrittore russo Dostoevskij. Anche qui c'è l'espressione "vero dolore" e c'è anche una sorta di cartina di tornasole per scoprirlo. Il dolore autentico - dice il celebre romanziere - è un maestro di vita, è un educatore che riesce a rendere sapiente persino un imbecille. Il suo ardore bruciante è simile a quello del crogiuolo che riesce a distillare oro da un masso grezzo. A tutti è accaduto di incontrare una persona, prima fatua e vana, divenuta totalmente diversa, quasi trasfigurata dopo la tempesta di una sofferenza personale o della morte di un caro. Il dolore non è, quindi, solo un mostro che schiaccia e abbrutisce. Un altro scrittore, l'americano Saul Bellow, osservava che «la sofferenza è forse l'unico mezzo valido per rompere il sonno della ragione». Dev'essere però un "dolore vero", vissuto in profondità, non rigettato narcotizzando la mente e il cuore, ma elaborato, meditato, accolto nell'anima. Certo, la sofferenza pone altri interrogativi alti, ma questo è già un punto fermo su cui riflettere.
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