venerdì 8 ottobre 2004
Un cavallo e un toro videro il loro padrone prepararsi per andare in battaglia. Il cavallo si inquietò; il toro, invece, non si preoccupò affatto. Pensava, infatti, di non aver nulla da perdere. Il padrone sellò il cavallo e partì per la battaglia. Ma, prima ancora che scoppiasse lo scontro, le parti nemiche giunsero a un accordo. Il padrone coi suoi amici decise di festeggiare l"evento con un banchetto. Così, sgozzò il toro.Questa parabola fa parte di un antico e sterminato patrimonio di racconti morali elaborati nei secoli dal mondo arabo. La sapienza dei popoli reca sempre in sé un seme di universalità nelle sue pur semplici lezioni. Qui viene bollata la stupidità dell"egoismo. Il toro è ben soddisfatto della sua sicurezza, irride la disgrazia altrui e non prevede che la sua sorte fortunata possa improvvisamente ribaltarsi. Spesso la cura ottusa del proprio interesse non fa intuire i rischi che ci circondano e, così, ci si ritrova costretti a un amaro risveglio.Un po" liberamente vorrei che questo apologo ci riproponesse una maggiore sensibilità nei confronti degli altri, alzando almeno per un momento la testa dal proprio "particulare". Il poeta secentesco inglese John Donne invitava a chiederci per chi suoni la campana della morte perché essa non segna solo il trapasso di un altro, ma è un po" come il nostro rintocco perché anche noi siamo mortali, nonostante il presente benessere. Partecipare delle sofferenze altrui è un atto di umanità: l"immigrato affamato non è una questione estranea al tuo quieto vivere, è un appello al tuo egoismo perché si apra alla solidarietà, perché anche per te può esserci il giorno del bisogno e della miseria.
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