venerdì 7 luglio 2006
«Ognuno crede alle ragioni sue», disse il camaleonte; «io cambio sempre e tu non cambi mai. Credo che ci sbagliamo tutti e due». Abbiamo tradotto dal romanesco di Trilussa alcuni versi di una sua nota poesia intitolata «Er carattere». Il camaleonte, tipico emblema del trasformismo, si rivolge a un rospo, fisso nella sua identità non particolarmente esaltante. E come accade nelle favole, la morale è di facile comprensione e si attesta su uno scontato equilibrio tra i due estremi della fluidità incessante e della rigidità assoluta. Dicevo che questo equilibrio è "scontato"; in realtà è arduo praticarlo perché ci vuole sapienza e riflessione per intuire il tempo della fermezza e quello della duttilità, senza cadere nell'ostinazione o, al contrario, venir meno ai valori e ai principi. Vorrei, però, porre l'accento sul tema che dà il titolo al testo del poeta romano, il carattere. Esso ci permette di ritornare sul discorso ma da un'altra angolatura. È curioso che in italiano "carattere" sia anche lo stampo che si usava in tipografia: è qualcosa che incide in modo permanente. È così che si parla di "uomo di carattere": è colui che sa procedere nella vita con volontà, energia, coraggio, determinazione, tenacia, costanza e grinta. Valori preziosi in un mondo incline al compromesso, al patteggiamento, alla scusante. Tuttavia non aveva tutti i torti lo scrittore francese Jules Renard (sì, quello di Pel di carota, romanzo strappalacrime della nostra adolescenza) quando annotava nel suo diario: «Un uomo di carattere non ha un bel carattere». Spesso, infatti, si tratta di un temperamento che è rigoroso nella tutela del proprio vantaggio, mentre è molto flessibile nei confronti dei princìpi che lo impegnano troppo. Per questo è necessario essere sempre sorvegliati e autocritici.
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