mercoledì 30 novembre 2005
Gli uomini non tirano frecce o pietre perché esiste un bersaglio, ma mettono dei bersagli affinché il loro tiro e il loro lancio possano essere più efficaci e significativi. Mi capita tra le mani la vecchia edizione di un'opera del 1922 del filosofo americano John Dewey (1859-1952): è uno dei testi significativi della cosiddetta "psicologia sociale" e s'intitola Natura e condotta dell'uomo. Sfogliando quelle pagine m'imbatto nella frase che ho sopra citato e che mi incuriosisce. Il discorso è un po' complesso ma coglie una verità: l'uomo è circondato da elementi molteplici e disparati che potrebbero tutti essere oggetto di conquista. Ma, alla fine, è lui a decidere quale sia la vera meta da raggiungere. È lui che determina il bersaglio sul quale puntare ed è nel centrarlo la fonte della sua soddisfazione, della pienezza della sua vita. Questa osservazione riesce a spiegare perché ci siano molti giovani (ma non solo) oggi in crisi. Essi hanno smarrito il gusto di porsi dei bersagli da raggiungere; se devono tirare le loro frecce, le scagliano a caso; ogni progetto e ogni meta da raggiungere - soprattutto nella propria maturità umana ma anche nel lavoro - è lasciata nel vago o nell'indifferenza. Mentre, da un lato, si esalta la necessità della programmazione in tutto, dall'economia alla pastorale, dall'altro, ci si trascina senza il rigore delle scelte, senza la fatica dell'addestramento, senza il desiderio di un fine autentico. È, allora, necessario un sussulto di azione, di intelligenza, di desiderio perché la vita abbia un senso e quel senso venga conquistato con un impegno severo.
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