giovedì 28 marzo 2019

Con il sonno ho sempre avuto ottimi rapporti. Nel senso che non solo ho sempre gradito molto il dormire, ma che proprio c'è sempre stato, tra noi, una profonda comprensione. Ho memoria di dormite epiche, qualcuna al limite del letargo (e qualcosa dev'essere finito nel Dna di mia figlia Camilla, mentre Giulia, che pure ha molto del mio carattere, è più sobria), ma parliamo di troppi anni fa. Il lavoro e l'arrivo delle figlie mi hanno, ovviamente, portato poi a ritmi più "normali", ma molto di quegli ottimi rapporti è rimasto, tipo la capacità di dormire a comando, che mi ha consentito di sopravvivere alle insonnie neonatali e di non sapere cosa sia il jet lag (cosa preziosa per chi per lavoro ha dovuto girare il mondo per trent'anni). Con l'arrivo della Sla tutto questo è finito. Dormire è via via diventato sempre più difficile, con la fatica di trovare una posizione comoda per un corpo sempre più simile a un sacco di patate. Difficile, se non doloroso, girarsi su un fianco, senza avere sostegno dalle braccia, mentre le giunture scricchiolano. Viene fuori un sonno continuamente interrotto, una somma di momenti intervallati da veglie a occhi spalancati cercando un nuovo, difficile equilibrio per le tue membra esauste. Nulla che somigli a un riposo vero. Ma non solo. È cambiato anche il rapporto con i sogni. Prima non sognavo, o almeno non ricordavo di aver sognato, se non molto sporadicamente. E si trattava di sogni "casuali", normali, senza strascichi. Adesso invece è tutto diverso: sogno un sacco. Anche troppo. Sogni lunghi, a volte complessi, che si interrompono nei momenti di veglia per riprendere subito dopo. E, soprattutto, ricorrenti, almeno nei temi. In questi sogni sono malato, ma a un certo punto mi ritrovo a camminare normalmente, correre, muovere le braccia, guidare una moto o una macchina – le mie grandi passioni. Mi ritrovo all'improvviso a fare tutto questo in maniera vivida, in piena coscienza, e mi dico: "Ok, è passata". Poi però mi sveglio. E mi accorgo che non è vero. Sento tutta la pesantezza del mio corpo schiacciato sul materasso, che si muove a fatica. E comincia la lotta per rimettere in moto quel che resta delle mie forze, chiamando a raccolta i pochi muscoli che ancora cercano di rispondermi. Forse è questa la peggiore delle torture, quel risvegliarsi e accorgersi che un'altra volta il sogno ti ha preso in giro. Sono i giorni che non vorresti svegliarti, tanto meno alzarti. I più difficili.
(13-Avvenire.it/rubriche/slalom)

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