giovedì 28 aprile 2005
L'abate Arsenio, romano, vissuto alla corte di Costantinopoli, teneva nella sua celletta nel deserto egiziano un catino coi giunchi a macerare, quei giunchi che gli servivano per preparare canestri e sporte nel suo lavoro quotidiano. E, sentendo quell'odore aspro e acre, diceva: «Nella mia vita giovanile ho odorato grandi profumi alla corte di Costantinopoli; ora voglio mortificare il mio senso odorando questi cattivi odori».
È il frate servita e scrittore mistico Giovanni Vannucci (1913-1984) nei suoi Esercizi spirituali (Oscar Mondadori 2000) a rievocare questo episodio della vita di Arsenio (IV-V sec.), diacono della Chiesa di Roma, precettore degli imperatori di Costantinopoli, ritiratosi nelle solitudini del deserto egiziano. Il commento, fatto salvo il rispetto che si deve all'esperienza ascetica e alla convinzione personale, non è però favorevole e a ragione: «Se io ho odorato e amato un profumo in gioventù, non è necessario che ora annusi il cattivo odore per mortificarmi. Il passato è passato, ormai altri sono i profumi che cerco». Detto in altri termini, una vera ascesi non è autopunizione masochistica. Il distacco dal passato non deve condurti a una sorta di afflizione che ti rende quasi sadico con te stesso, immalinconito, sempre in guardia contro ogni realtà terrena. Il vocabolo "ascesi" in greco significa "esercizio": è, quindi, impegno positivo, proprio come quello dell'atleta che fatica, suda, si spossa ma per raggiungere un livello di creatività, di successo, di bellezza e vigore. Ritroviamo, allora, il rigore, la disciplina, l'autocontrollo, non come fine a se stessi ma perché ci rendano più forti, più liberi, più sereni. Il volto di chi digiuna - ci ammoniva Gesù - non dev'essere sfigurato e truce ma bello e radioso (Matteo 6, 16-18).
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