venerdì 24 febbraio 2017
Un nuovo libro di Judith Butler è sempre un piccolo avvenimento, nel quadro dell'editoria italiana "di pensiero". Tanti la considerano l'erede di Hannah Arendt, e certamente si tratta di una filosofa di prim'ordine, che affronta i temi più gravi del nostro tempo tenendo conto dei cambiamenti e delle mutazioni in corso in modi non superficiali come è invece di tanta pubblicistica filosofica, forse soprattutto in Italia dove anche i nomi più prestigiosi possono sembrare assai spesso "filosofi della domenica", dilettanti e ciarlieri. L'alleanza dei corpi (Nottetempo) è interessante per molte ragioni, ma soprattutto per il suo punto di partenza, che dovrebbe starci molto a cuore e sul quale è opportuno interrogarsi pensando proprio all'Italia. Che cos'è "l'alleanza dei corpi", oggi? È quella che unisce persone colpite nella loro autonomia di pensiero e nella loro possibilità di azione da un potere (da governi, da classi dirigenti violentemente predatorie e manipolatorie) che ottunde la capacità di reagire, e che inesorabilmente reprime ogni risposta collettiva e organizzata. Il libro è uscito in edizione originale due anni fa, quando Trump non era sta eletto presidente del Paese sul cui modello di democrazia molto si illusero sia Tocqueville che la Arendt, nonostante un entusiasmo storicamente comprensibile. Non so cosa stia scrivendo oggi Judith Butler, ma credo tenga opportunamente conto della tremenda novità di una destra plutocratica ancor più che oligarchica, sfrenatamente all'attacco quasi dovunque. L'impeto che muove tante lotte (appena ieri, per esempio, le primavere arabe, o ancora oggi i Podemos spagnoli o i giovani "disobbedienti" francesi, e ampie schiere di insoddisfatti asiatici o africani) sembra del tutto assente dall'Italia, ed è forse anche per questo che i nostri filosofi si perdono in mediocri o evasive disquisizioni sulla vita quotidiana o sui temi più altamente metafisici ed extra-storici, mentre i nostri sociologi hanno rinunciato da tempo ad analizzare la società in cui viviamo, auto-soffocandosi nella routine di un'università chiusa, insignificante, moribonda. La "vita buona" di Judith Butler è quella della partecipazione attiva di ognuno al proprio destino, che è quello della collettività degli oppressi, quello dell' "alleanza dei corpi". L'ultimo capitolo del libro riprende un vecchio testo su Adorno ed è il più chiaro. Si tratta oggi, dice Butler, «di dire no a quella parte di sé che vuole assecondare lo status quo». Dispiace solo che anche Butler - potere dell'università! - diversamente dalla sua maestra Arendt e perfino da Adorno, conceda davvero troppo al linguaggio scostante della sua corporazione, da addetti ai lavori che si parlano tra loro.
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