venerdì 6 maggio 2005
Oggi ho fatto un sogno. Ho sognato che i miei quattro bambini, un giorno, vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati dal colore della pelle ma per le loro doti personali" Questa è la fede con la quale saremo in grado di estrarre dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le note discordanti del nostro paese in una bella sinfonia di fratellanza.
È un lettore di Trento a ricordarmi che «nei forse quattromila Mattutini che Lei ha scritto e che da sempre ho seguito, non ha mai proposto un brano del più celebre discorso di Martin Luther King». È vero e lo accontento subito citando l'avvio del discorso pronunziato nell'agosto 1963 da quel pastore battista che cinque anni dopo sarebbe stato assassinato a Memphis nel Tennessee, a soli 39 anni. Certo, da allora molti passi sono stati compiuti nella direzione indicata da King. Tuttavia il pregiudizio, il razzismo larvato, il rigetto del diverso è sempre in agguato ed è importante non abbassare mai la guardia. Una parabola tibetana immagina che un viandante nel deserto veda da lontano una figura e la scambi per una belva. Procedendo s'accorge che è un uomo, ma teme che sia un brigante. Quando, da vicino, lo guarda in faccia, s'accorge che era suo fratello da tempo lontano. Ricordiamo il monito paolino secondo cui in Cristo non c'è giudeo né greco, schiavo o libero, uomo o donna ma tutti sono uno (Galati 3, 28). Certo, la paura è sempre in agguato, come lo è l'egoismo, ma è solo incontrandosi, rispettandosi, conoscendosi che si crea «una bella sinfonia di fratellanza», pur con le voci differenti delle varie culture, tradizioni e religioni. Un itinerario, forse faticoso, ma necessario per essere degni di dirci cristiani in senso autentico.
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