sabato 16 luglio 2005
Ministro: ultimo termine della gloria umana. Osservate la lontananza di significato tra il governante e la governante. Ecco due battute che ho accostato, anche se sono di origine diversissima. In realtà esse convergono verso una stessa meta: noi tutti immaginiamo che il potere sia l'aspirazione suprema, la vetta di ogni ricerca, l'esito fecondo di ogni sforzo. Ecco, allora, alcuni paradossi linguistici che sono di loro natura emblematici. Cominciamo con la prima frase che è tratta dal Dizionario dei luoghi comuni dello scrittore francese ottocentesco Gustave Flaubert: certo, diventare ministro è un approdo glorioso che entusiasma molti fino all'esaltazione, all'ebbrezza, a una vera e propria estasi. Eppure la parola deriva dall'avverbio latino minus che vuol dire "meno", proprio come aveva richiesto Gesù ai suoi "ministri": «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si faccia vostro servo e colui che vorrà essere il primo tra voi, si faccia vostro servo, appunto come il Figlio dell'uomo che non è venuto per essere servito ma per servire» (Matteo 20, 26-28). Altrettanto paradossale è la seconda frase che ho trovato in un articolo di un mio antico compagno di studi, il prof. Enrico Peyretti, sulla rivista Rocca. "Governante" è un unico vocabolo che copre, però, due estremi nello spettro dei significati. Al maschile è pronunciato con rispetto e trova spazio sui giornali; al femminile è considerato con degnazione ed è spesso la migliore definizione che si escogita per la domestica o per una serva. Per fortuna c'è Dio che assegna la vera dignità non in base all'esteriorità ma al cuore, alla coscienza, alla ricchezza interiore.
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