sabato 5 agosto 2006
Il principio che muove la fantasia è il gioco, tipico del bambino e a prima vista incompatibile col lavoro serio. Ma senza questo giocare con la fantasia non è mai nata un'opera d'arte. Il debito che abbiamo col gioco e con l'immaginazione è incalcolabile. Sulla riva del lago di Como, ove sono in vacanza, sto seguendo con curiosità tre bambini del tutto assorbiti nel gioco. Le loro nonne chiacchierano e gettano ogni tanto uno sguardo distratto. Io, invece, m'accorgo che uno sta delineando nella sabbia una rete di strade attraverso le quali fa inoltrare una macchinina. È un gioco che ricalca la vita a cui è costretto in città; ma qui è lui ora l'arbitro e si vede chiaramente che è lui a decidere percorsi e ostacoli. Quand'eravamo bambini a noi bastava molto meno per accendere la fantasia: io non ho ancora dimenticato la mia oca di legno con le rotelle che avevo ricevuto in dono a tre anni. Ha, perciò, ragione Jung, il famoso artefice (con Freud) della psicoanalisi, con la nota che ho sopra tratto dai suoi Tipi psicologici. Non si dà creatività, arte, vera e propria umanità senza il gioco puro (non certo l'isteria da stadio), l'immaginazione, la fantasia. I nostri ragazzi, purtroppo, fissati sulla playstation hanno già tutto elaborato davanti a loro; basta solo premere tasti per produrre anche l'impossibile. La creazione libera e personale, l'effervescenza della mente e del cuore, l'evocazione allusiva della lettura sono ormai sterilite e modellate. Ritroviamo anche noi adulti in questi giorni di quiete l'esercizio del pensiero, dell'estro, della poesia, del sogno, della gratuità, ponendo una tregua al calcolo, alla programmazione, al tornaconto immediato.
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