venerdì 8 dicembre 2006
Distinguo a pena la Madonna, ha immoti/ gli occhi lucidi come lame, come/ le sette spade che le stanno in cuore;/ intorno, un po' d'argento luce: i voti/ degli umili, dei buoni senza nome/ ch'ebbero ancora fede nel dolore. Sarà capitato a tutti di varcare la soglia di una chiesa e di passare della luce esterna della strada alla penombra improvvisa, striata solo dal baluginare di qualche cero. Ed ecco profilarsi lentamente un volto, quello di un dipinto o di un'icona o di una statua, un viso femminile dagli occhi fissi che puntano sul fedele. La devozione popolare secolare ha costellato le nostre chiese di questa presenza mariana e non ha fatto mai mancare davanti ad essa il segno di luce di una candela, gli argenti degli ex-voto, il colore dei fiori ma soprattutto il respiro silenzioso di una preghiera. Nel giorno dell'Immacolata ho scelto un poeta ottocentesco oggi del tutto dimenticato ma che aveva un piccolo spazio nell'antologia letteraria del mio Liceo, il romano Sergio Corazzini, un autore "decadente" (come si diceva) ma con una delicata vena d'amore e di fede. È proprio su quest'ultimo aspetto che lascio a tutti lo spunto di riflessione da sviluppare. La devozione mariana insegna la fede anche nel dolore. Alla Madre di Cristo accorrono soprattutto i malati, gli infelici, gli abbandonati, «i buoni senza nome», non gli orgogliosi, i potenti, i gaudenti. Davanti a lei i semplici aprono il loro cuore perché sanno che una madre capisce e non abbandona. E se ne vanno, forse non guariti e liberati, ma certamente sereni e in pace.
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