giovedì 13 giugno 2019
In un testo premonitore, lo scrittore Paul Valéry vaticinò, nel 1928, che allo stesso modo in cui l'acqua o il gas della rete arrivano, senza un nostro sforzo diretto, nelle nostre case, così verrà il giorno in cui ci nutriremo di immagini, le quali nasceranno e si spegneranno automaticamente. Quel giorno è arrivato, e viene servito in dosi sovrabbondanti, un torrente che nessun rubinetto è in grado di controllare. Fotografare è divenuto un atto spontaneo, una forma svelta di comunicazione, un'espressione banale e divertente delle nostre socialità.
Un testo della psicanalista Elsa Godart, Faccio selfie, dunque esisto, ben mostra quel che c'è in gioco, in forma dichiarata o latente, in tale inondazione di immagini che quotidianamente ci sommerge: un disperato desiderio di essere, anche se non sappiamo cosa; la volontà compulsiva di condividere che siamo stati lì, in quel momento, in quella situazione e in quel luogo, sovrapponendo il nostro esibizionismo a ogni altra condivisione di ragioni e o di senso. Riceviamo e trasmettiamo immagini che si ritiene aumentino, messe in rete, la realtà. La verità è che il loro risultato, nella maggior parte dei casi, ridonda in un immenso impoverimento comunicativo. Quando riduciamo il mondo a un'accumulazione di immagini semplificatrici, le immagini semplificatrici si sostituiscono alla complessità del mondo.
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