venerdì 17 settembre 2004
Il folle porta dipinto sul volto tutto ciò che ha nel cuore. Il saggio, invece, usa due linguaggi: con uno dice la verità, con l'altro dice ciò che ritiene opportuno; egli sa cambiare il nero in bianco e il bianco in nero. Proprio per questo ritengo che i re e i principi, in mezzo al loro lusso, siano molto infelici, dal momento che non trovano nessuno che dica loro la verità, e quindi sono costretti a considerare amici solo i buffoni di corte. Ho ricevuto un'altra - delle molteplici - edizioni di quel gioiello letterario e filosofico che è l'Elogio della Follia, composto nel 1509 dal grande Erasmo da Rotterdam. Difficile è decidersi a citarne un brano perché tutto il testo affascina per la sua forza ironica, per la sua acutezza e per le sferzate che scaglia contro tutti i benpensanti e le loro ipocrisie. Il collegamento è con quella tradizione spirituale che vede nell'"idiota" (si pensi al successivo romanzo di Dostoevskij) l'incarnazione della purezza di spirito, della verità e dell'amore limpido. Il pensiero corre alla frase paolina: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti» (1 Corinzi 1, 27), anche perché la stessa croce di Cristo è «stoltezza» folle (1, 18.23). Dobbiamo, invece, riconoscere che la via imboccata nella vita quotidiana da tutti noi è spesso quella di una saggezza che è calcolo: pensiamo una cosa e ne diciamo un'altra, ora per quieto vivere, ora per piaggeria, ora per convenienza. Ha ragione Erasmo quando dice che i potenti sono sfortunati perché attorno a loro ci sono solo elogiatori, pronti a velare ogni verità che risulti sgradita al padrone. E, invece, almeno un pizzico di quella follia che è dire la verità, privilegio dei bambini, dovremmo immetterla nelle nostre opere e nei nostri pensieri.
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