
Lo sport del momento, il tennis, ci regala una suggestione anche questa settimana. Questa volta non c’entrano le vittorie di Jannik Sinner, l’attesa della sentenza sul caso Clostebol o la polemica sulla sua assenza al Quirinale. La suggestione arriva dalla finale del torneo Wta di Linz, Austria. Sul campo le due finaliste: Ekaterina Alexandrova e Dayana Yastremska, rispettivamente numero 30 e numero 72 del ranking mondiale. Due atlete non di primissima fascia, ma un torneo importante, tanta gente sugli spalti, le autorità austriache schierate. Ekaterina Alexandrova è nata, 30 anni fa, a Èeljabinsk, città russa alle pendici degli Urali; Dayana Yastremska è nata, 5 anni dopo, a Odessa, in Ucraina. Fra Èeljabinsk e Odessa ci sono tremila chilometri, gli stessi che dividono Napoli da Helsinki. Sembrerebbero mondi lontanissimi, ma le due ragazze giocano per la bandiera di due Paesi in guerra da oltre mille giorni. La bandiera russa, in realtà, non c’è, perché Alexandrova gioca come “atleta neutrale”. Le bandiere ucraine, invece, sono tante anche sugli spalti, anche perché l’Austria, insieme alla Polonia, è uno dei Paesi che più generosamente ha accolto la diaspora degli sfollati ucraini. Alexandrova parte forte, va in difficoltà, ma alla fine vince. Finisce 6-2, 3-6 e poi 7-5 per la russa, dopo una lunga sequenza di match point annullati dalla ucraina che non voleva proprio arrendersi. Terminato il match nessuna stretta di mano tra le due. La russa piange lacrime di gioia nel suo angolo del campo, l’ucraina corre negli spogliatoi, torna solo per le premiazioni. L’imbarazzo è palpabile, da parte di tutti.
Il primo discorso spetta alla sconfitta, Yastremska, che nel marzo 2022 era fuggita da Odessa con la sorella. Il volto è duro, ignora del tutto la vincitrice. Ringrazia il suo staff, la mamma, il pubblico, gli organizzatori, gli sponsor.
La Alexandrova dalla panchina timidamente applaude. Poi, aggiunge: «Voglio dire un’ultima cosa: nei giorni scorsi la mia città, Odessa, è stata pesantemente sotto attacco. Voglio dire che sono molto orgogliosa di tutto il mio popolo, di come sta combattendo per l’Ucraina». Subito dopo prende la parola Ekaterina, con evidente disagio. Abbozza un sorriso, inizia congratulandosi con Dayana, che rimane immobile, sguardo di ghiaccio. Termina e restano la consegna del trofeo e le fotografie di rito, mai delle due protagoniste insieme.
Resta, in chi guarda, la certezza che non si potrebbe dimostrare meglio come l’idiozia della guerra nasca sempre nella mente perversa di qualche politico e non c’entri nulla con la gente normale, tanto meno con gli sportivi, che sono la categoria di umani che meglio sa tenere insieme l’orgoglio nazionalista, nel suo senso più puro, con il cosmopolitismo. E soprattutto resta, alla fine di una partita di tennis che passerà con indifferenza nella cronaca sportiva, la sensazione amara di quale straordinaria occasione abbia avuto (e probabilmente abbia perso) lo sport in questi anni per proporsi, davvero, come strumento di pace.
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