sabato 26 febbraio 2005
Il mio piacere di avere Albertine fissa in casa mia non era tanto un piacere positivo, quanto quello di aver ritirato dal mondo, dove ciascuno poteva a sua volta goderne, la fanciulla in fiore che così, se non mi dava grandi gioie, almeno ne privava gli altri. Sto leggendo il piccolo ma denso e intenso libro che il filosofo Umberto Galimberti, mio antico compagno di studi liceali e amico al di là dei diversi percorsi esistenziali, ha dedicato alle Cose dell'amore (Feltrinelli). Sono molti gli spunti e anche le provocazioni che stimolano la mia attenzione: a pag. 131 trovo questa citazione desunta dal celebre romanzo Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Sono parole che illuminano una situazione tutt'altro che rara, quella che scambia per amore ciò che in realtà è plateale egoismo. Si tratta, però, di un egoismo particolare perché esso nasce dal vuoto che si ha dentro di sé e che si vuole colmare col possesso di un altro. «Ciò di cui si gode " scrive Galimberti " non è l'amore, che nella prigionia del possesso non ha spazio per esprimersi, ma la sottrazione agli altri della possibilità di amare». È, questo, un atteggiamento antitetico rispetto al vero amore che è reciprocità libera, è gioia per la pienezza dell'altra persona, è donazione comune senza riserve, frutto della volontà libera di ciascuno dei due. Purtroppo spesso certe relazioni ignorano questa armonia e precipitano nella possessività, nella gelosia, nel carcere di un legame che unisce non due amori ma due solitudini, dando origine a quello che un altro filosofo, Erich Fromm, chiamava «l'egoismo a due», «la fusione senza reciprocità».
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