E sì, l'eurogiustizia ci interessa anche se non viviamo in Lituania
mercoledì 31 gennaio 2018
Ieri pomeriggio, per qualche ora, tra le breaking news in Rete ce n'era una religiosa (qui la prendo da "Avvenire" tinyurl.com/y9pmlfm5 ): riguardava la sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) di Strasburgo ha dato torto alle autorità pubbliche della Lituania e ragione a un'azienda di abbigliamento per una serie di manifesti pubblicitari del 2012 che pochi italiani avranno visto, se non hanno soggiornato all'epoca nel Paese baltico. In essi Gesù e Maria, in versione contemporanea (tatuaggi, sguardi impudenti), figurano come "testimonial" di alcuni abiti, indossandoli. I claim, perlomeno quelli leggibili in inglese sulle immagini che accompagnano la notizia (quelli riportati nel testo della notizia sono un po' differenti), lasciano intendere che l'osservatore esterno prorompa in un'esclamazione di apprezzamento degli abiti stessi, retoricamente introdotta da un'invocazione: "Madonna, che vestito!" (diremmo in Italia), e simili. La Cedu, pur riconoscendo alle autorità di ciascun Paese ampio margine di autonomia in casi del genere, ha ritenuto nello specifico che quelle lituane non avessero sufficienti motivi per intervenire, o che non li avessero sufficientemente argomentati.
La notizia arricchisce il corposo dossier sui limiti di un uso pubblico strumentale di simboli religiosi con una sentenza che non potrà essere ignorata, e ciò spiega il fatto che sia stata ripresa con un'attenzione così diffusa. Mentre ancora galleggiava sui vari siti, padre Francesco Occhetta è riuscito a sfornare "in tempo reale", sul suo profilo Facebook, un commento accorato, che condivido. Non discute della liceità, in sé, del modo di esprimersi dell'azienda in questione, ma della sua opportunità, e di quanto la libertà religiosa di tutti rimane tutelata da espressioni del genere. Inoltre, entrando nel merito, lamenta l'immaturità e la scorrettezza esibite dagli autori della campagna pubblicitaria. C'è davvero da rammaricarsi che ai giudici della Cedu essa non sia apparsa «gratuitamente offensiva o profana».
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