giovedì 23 novembre 2006
Un uomo può ben dire: «D'ora in poi dirò sempre la verità!». Ma la verità lo sente e scappa ed è già nascosta prima che lui abbia finito di parlare.«Ti giuro che le cose stanno proprio come te le ho raccontate». Chi non ha, una volta in vita, detto questa frase, con la sottile e nascosta coscienza che alla fine le cose narrate non erano poi così aderenti alla realtà? Lo stesso vale per il proposito di non mentire mai: se siamo sinceri almeno con noi stessi, dobbiamo confessare di avere alle spalle strade forse non lastricate di bugie ma certamente costellate di questi comodi salvagente, destinati a farci stare a galla nella navigazione della vita.Oggi la riflessione su questo tema - dire la verità - me la offre uno scrittore americano che mi è sempre piaciuto, Saul Bellow, morto novantenne lo scorso anno. È una frase che avevo annotato anni fa, leggendo il suo romanzo Herzog, la storia di un docente universitario ormai solo e abbandonato che inaugura uno sterminato epistolario coi più disparati destinatari (c'è anche Dio e persino se stesso), ovviamente col desiderio di chiarire la crisi interiore che sta attraversando. Il paradosso è quello che non di rado accade a ciascuno di noi: siamo pronti anche a mentire a noi stessi. Anzi, quando cominciamo a fare professione smaccata di verità, proprio allora ci si avvia sulla china della falsità, facendo fuggire la verità. È triste ma aveva ragione un altro scrittore, Anatole France, quando diceva: «Amo la verità. Ma, come l'umanità, ho un bisogno ancor più grande della lusinga della menzogna».
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