martedì 8 novembre 2011
Parla anche tu, / parla per ultimo, / di' la tua sentenza. / Parla, ma non dividere il sì dal no. / Alla tua sentenza dà anche il senso: / dalle ombra. / Dalle ombra sufficiente, / dagliene tanta.

Anche chi – purtroppo! – non ama la poesia, legga lo stesso queste righe di un grande e tragico poeta ebreo tedesco, Paul Celan, nato in Romania nel 1920, testimone della fine della sua famiglia nei lager nazisti, morto suicida gettandosi nella Senna a Parigi nel 1970. Di solito i suoi versi, altissimi, sono ardui, ma questa volta il suo è un appello semplice e incisivo. Il poeta non va contro il detto di Cristo sulla sincerità: «Sia il vostro parlare: Sì, sì; No, no!, il di più viene dal Maligno» (Matteo 5,37). Egli vuole, invece, colpire chi pronuncia sentenze definitive quasi fosse l'unico interprete autorizzato della verità. Sono quelle persone che non si lasciano mai frenare da un'esitazione, asseverano “senza ombra di dubbio”.
Ecco appunto l'immagine di Celan, l'ombra che invece dovrebbe alonare le parole. Solo così esse escono dalle labbra quasi in punta di piedi, con discrezione e pudore. Anziché essere un flusso veemente e inarrestabile, sono centellinate e avvolte nella pellicola del silenzio perché sono pesate e pensate. Sono frasi che lasciano spazi ancora bianchi che ammettono approfondimenti e un'ulteriore vita in coloro che le ascoltano, un po' come accade alla poesia che ha bisogno degli “a capo” così da lasciare un vuoto che l'eco nell'anima del lettore riempie. È proprio l'esatto contrario della chiacchiera che non ammette spazio e interstizi, oppure dell'urlato che impedisce il dialogo. Un personaggio di Pirandello diceva: «Quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare!».
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