Dall'inferno di Kiev a quello del Dante viola
sabato 5 marzo 2022
«Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna...», recita (ahinoi recitava) con la sua voce bella, pastosa e rassicurante, Luigi Proietti detto Gigi, titolo del bel docufilm di uno dei suoi tanti discepoli, Edoardo Leo. La recito ogni giorno ormai la Ninna nanna di Trilussa, che Claudio Baglioni ha messo in musica e Proietti portò in scena, e come me, so che lo fanno in tanti per esorcizzare questo inferno di mondo in cui viviamo. Ma poi, un mercoledì di Coppa Italia ti accorgi che c'è l'inferno tragico di Kiev e dell'Ucraina, bruciata e ferita a morte dalla follia russa (chiamasi Putin) e anche quello dantesco, rievocato dalla Curva Fiesole per accogliere l'ex viola, passato alla Juventus, Dusan Vlahovic. Per una volta però, il mondo ultrà al posto della guerriglia da stadio sceglie la via setosa della cultura. Coreografia e striscione rimandano niente meno che al XXXII canto della Divina Commedia del loro concittadino Dante Alighieri, associando il traditore Bocca degli Abati – che tradì i Guelfi nella battaglia di Montaperti, 1260 – con il serbo Vlahovic che si è beccato la sua dose di fischi, sputi e insulti, ma alla fine ha vinto la battaglia in campo. La Juve vince il primo round della semifinale di Coppa e nella notte dantesca lo fa con un autogol. È stata la mano di Venuti però, e non Dusan il terribile, a spegnere il sogno della Fiorentina di battere l'odiata Juve del traditore serbo. Ma almeno fuori dagli spalti del Franchi è stata tregua, quasi olimpica. Non c'è tregua invece sul fronte ucraino. Il patriottismo di Zelensky costringe ad arruolare ogni cittadino ucraino, e tra questi ci sono decine di tesserati del calcio e dello sport professionistico. Molti di loro stanno cadendo eroicamente. Il primo martire del pallone ucraino è stato Martynenko e la striscia luttuosa degli sportivi ucraini, uccisi per mano russa, continua. Poteva fare la stessa fine Junior Moraes, la cui vicenda rappresenta uno dei tanti paradossi in seno a questa assurda guerra fratricida. Junior Moraes non è nato a Kiev o in un remoto villaggio dell'Ucraina, ma in Brasile, a Santos, dove è cresciuto anche calcisticamente. L'attaccante dello Shakhtar Donetsk fino a ieri guidato da Roberto De Zerbi (costretto a rientrare in Italia con tutto il suo staff tecnico) nel 2019 è diventato cittadino ucraino e quindi un oriundo della nazionale che è stata del ct Shevchenko. Perciò, lo status di ucraino a tutti gli effetti lo avrebbe costretto a indossare la mimetica e al posto degli scarpini gli anfibi militari, ma Moraes non se l'è sentita di andare a morire per la patria adottiva e ha scelto di tornare alla sua madre terra da dove manda a dire: «Non auguro la guerra a nessuno. Sono felice di stare con la mia famiglia, di abbracciarli...». Auguriamo a tutti i soldati della guerra russo-ucraina di tornare al più presto a casa e di abbracciare le proprie famiglie.
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