venerdì 21 marzo 2014
​   Un romanzo davvero bello, dell’altoatesino Sepp Mall (Ai margini della ferita, Keller) racconta come fosse crescere da quelle parti al tempo della sotterranea guerra degli autoctoni contro l’Italia, negli anni del dopoguerra. Un romanzo un po’ compiaciuto del televisivo Giovanni Floris (Il confine di Bonetti, Feltrinelli) narra com’era crescere negli anni Ottanta. Il confronto è impressionante. Escono romanzi molto sciocchi ma anche romanzi molto belli, nell’Italia di oggi, come se fosse diventato – con la crisi – più facile e fosse avvertito come più necessario saper raccontare le sue contraddizioni, interrogandosi sul presente e sul passato recente, su come siamo diventati gli scombinati e inetti italiani di oggi… Il solo limite di tante opere recenti, significative e sollecitanti (da Falco a Pecoraro, da Orecchio a Stassi, da De Roma al fumetto di GiPi ecc.) è che sembra non incidano sulla realtà – cioè sui lettori. Se ci aggiungiamo saggi ugualmente utili e profondi, per esempio quelli di Laffi (La congiura contro i giovani) e di Giglioli (Critica della vittima), o il romanzo-saggio di Rastello (I buoni), ci si accorge che, nonostante le invadenti manipolazioni dell’industria culturale che mira a trasformare tutto in merce, e predilige la merce più facile, dorata e drogata, una parte della cultura italiana, senza ordine di età, ha ripreso a ragionare grazie alla crisi, e a dare frutti di qualità. Resta però forte l’impressione di uno scollamento tra questi autori e la società che li circonda, di cui peraltro accettano quasi tutti i condizionamenti e le regole senza metterle in discussione nei fatti. Insomma, è il rapporto tra teoria e prassi che è saltato da tempo (dagli anni Ottanta), lasciando il posto all’idea illusoria e fino a ieri strampalata che scrivere e parlare o filmare eccetera equivalga al fare: che questo sia l’unico fare oggi possibile, questa la prassi! Coscienze lucide e infelici, ma questo basta? Viene dalla povertà del rapporto teoria-prassi il fallimento della politica e, in definitiva, della democrazia, quando se ne lascia la responsabilità ai praticoni senza progetto che il potere per il potere o lo sviluppo per lo sviluppo. Si sconta in tal modo anche il fallimento della cultura, la sua inefficacia.
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