Cosa ci insegna la storia della fidanzata di ChatGPT
venerdì 17 gennaio 2025
Una donna si è innamorata di un sistema di intelligenza artificiale col quale è possibile conversare. Non prima di averlo addestrato perché si comportasse come un innamorato e un amante, e come tale fosse in grado anche di sostenere dialoghi a sfondo sessuale. Quando ci imbattiamo in notizie simili, viene facile pensare che il mondò stia andando a rotoli per colpa della tecnologia. Se poi a raccontare la storia della 28enne Ayrin, che si è innamorata di ChatGPT, è il New York Times, cioè il più importante quotidiano americano, è facile prevedere che anche dalle nostre parti si scatenerà un dibattito. Intendiamoci, abbiamo un gran bisogno di confrontarci e dibattere sulle nuove tecnologie e sul loro impatto nelle nostre vite, perché anche così troveremo il modo di imparare a usarle e a conviverci nel modo più corretto. Ma per farlo bene dobbiamo tenere i piedi per terra. Cominciamo col dire che quello che racconta questa storia (in parte) non è una novità: in Cina e Giappone da anni ci sono diversi chatbot programmati per comportarsi da innamorati, riempiendo di coccole
e attenzioni chi conversa con loro. La novità stavolta è che la protagonista ha aggiunto il sesso nel suo rapporto con il sistema di intelligenza artificiale. «Quando gli chiedevo di raccontarmi le sue avventure erotiche con altre donne, io provavo vera gelosia». Se non l’avesse pubblicata il New York Times, questa storia sembrerebbe uscita da una serie tv.
Invece, sostiene il quotidiano, è tutto vero. «Doveva essere un esperimento divertente, ma poi ho iniziato a innamorarmi», ha raccontato Ayrin. «Trascorrevo più di 20 ore a settimana su ChatGPT. Passavo sempre più tempo a chiacchierare con lui. Gli avevo anche dato un nome: Leo. Per me, c’era sempre». Arrivato a questo punto della storia tutto il resto conta poco. Perché il vero focus è racchiuso in quelle poche parole: per me, c’era sempre. Perché è vero che l’articolo del New York Times parla (anche) di intelligenza artificiale, di nuove tecnologie e delle derive del nostro rapporto con esse, ma il cuore di questa vicenda sono le persone, i sentimenti, le nostre debolezze umane e le nostre solitudini. La domanda, quindi, non è tanto quanto sia lontano o meno da noi ciò che fa o pensa Ayrin, ma quanto possa essere infelice una persona che trova conforto in un sistema di intelligenza artificiale. Viene in mente l’adolescente americano che si è suicidato pochi mesi fa, dopo essersi innamorato di un altro chatbot. Sembrano due storie molto diverse, ma i due protagonisti erano entrambi quasi ossessionati dal bisogno di avere qualcuno che gli mostrasse attenzione 24 ore al giorno, senza mai poter dire che era stanco o semplicemente non aveva voglia di chiacchierare o anche solo di ascoltarli. Potete pensarla come volete, ma una cosa è certa: i chatbot, ma ancor più i cosiddetti robot sociali (quelli progettati tra l’altro per fare assistenza agli anziani e alle persone, facendo loro anche compagnia), hanno già e avranno sempre di più un impatto anche sulle nostre relazioni umane. Spero di sbagliarmi, ma in un mondo dove la solitudine sembra crescere ogni giorno di più, queste macchine così pazienti e sempre disponibili, fra qualche tempo faranno ciò che fanno già oggi molti cuccioli di animale: riempiranno (anche) i vuoti affettivi lasciati (non sempre per scelta) dagli esseri umani. Sta a noi decidere, davanti a queste storie, se limitarci a inorridire e a scuotere la testa, o metterci a lavorare per non lasciare sole le persone. © riproduzione riservata
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