sabato 8 ottobre 2005
La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso. Il conoscere bene un uomo vuol dire conoscere bene se stessi. Come ho fatto ieri, così oggi allineo due testimonianze di autori diversi, frutto di letture disparate ma curiosamente convergenti. Entrambe, infatti, intrecciano in una sorta di reciprocità una duplice conoscenza, quella di se stessi e degli altri: senza la prima non si ha la seconda e viceversa. Partiamo dalla prima frase che cito dal libro Palomar (1983) dello scrittore Italo Calvino, morto a Siena nel 1985. Egli in pratica rinverdisce il celebre motto greco gnóthi sautón, "conosci te stesso", inciso sul tempio di Apollo a Delfi. Ora, la conoscenza di se stessi è il percorso necessario da compiere se si vuole essere capaci poi di conoscere le persone che ci circondano. La superficialità nel giudicare
e nel valutare gli altri nasce dal fatto che siamo per primi incapaci di soppesare la nostra realtà interiore, nei suoi pregi e nei suoi limiti. Ma - quasi per una sorta di proprietà transitiva - è anche vero il contrario: è ciò che ci ricorda la seconda osservazione che è presente nell'Amleto del grande Shakespeare. È solo con un esercizio di attenzione, di ascolto e di dialogo con gli altri che ti attrezzi a scavare nella tua interiorità. Ahimè, bisogna dire che ai nostri giorni entrambe le pratiche del conoscere sé e gli altri sono di scarso interesse, dato che ci si accontenta della superficie e dell'apparire. Anche perché - come diceva la battuta di una striscia di B.C. di Hart - «forse è meglio lasciar stare perché a conoscere se stessi si avrebbe una brutta sorpresa!».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: