martedì 17 settembre 2002
Quando in questo mondo un uomo ha qualcosa da dire, la difficoltà non sta nel fargliela dire, ma nell'impedirgli di dirla troppo spesso. Giunti a una certa età (ma non solo), si cade nella ripetizione stucchevole: con pazienza l'interlocutore deve riascoltare una storia già sentita fingendo interesse. Quand'anche si opponesse un timido tentativo di difesa, dichiarando di conoscere già quel fatto, l'altro continuerebbe a riproportelo, nella certezza del costante interesse del suo racconto. A ricordarci questo rischio, in cui possiamo tutti incorrere, è George Bernard Shaw (1855-1950) nella sua opera teatrale Cesare e Cleopatra (1899). La sua frase ci permette di segnalare un vizio, non particolarmente grave ma indubbiamente fastidioso, quello dell'annoiare il prossimo. Lo si annoia con la propria petulanza, con le richieste, con le visite importune, con l'insistenza, con le chiacchiere e così via. E' un difetto che ha molti padri e madri: l'egoismo, l'orgoglio, l'ignoranza, la prevaricazione, l'insipienza, la pedanteria. Pur avendo una capacità infinita d'amore e di comprensione, probabilmente anche Dio s'annoia per certe invocazioni destinate a fargli cambiare parere e a spingerlo a reggere il mondo e la storia in modo migliore, secondo le nostre attese. Ma a questo punto c'è una staffilata per tutti, anche per l'annoiato che crede di essere del tutto immune da questo vizio. Ancora una volta è il moralista francese del '600 La Rochefoucauld a ricordarcelo nelle sue Massime: «Spesso perdoniamo coloro che ci annoiano, ma non riusciamo a perdonare coloro che noi annoiamo», se lo dimostrano.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: