venerdì 20 ottobre 2006
Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Conti qualcosa per qualcuno?... Accorgersi che tutto questo è come un nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda.Scriveva queste righe nel suo diario, Il mestiere di vivere, Cesare Pavese, dicendo una verità che era autobiografica: era uno scrittore stimato, aveva anche un alone di popolarità, era circondato da una folla di conoscenti, aveva il dono dell'arte. Eppure, giunto a sera, ritiratosi con se stesso, spenti gli echi degli applausi, egli si ritrovava solo, insoddisfatto, svuotato interiormente. Sappiamo quale sia stato il tragico approdo della sua esistenza, così come era accaduto e accadrà a molti che pure hanno raggiunto il picco della fama. Essere ammirati, immersi nell'onda piacevole del successo, può solo accontentare chi è superficiale e banale, come accade a certi personaggi televisivi, votati a una veloce epifania ma anche a un repentino oblio.Ciò che, invece, conta - e, alla fine, anche per costoro, una volta tramontato il clamore - è «un segno umano, una parola, una presenza» che darebbe senso sia al successo, sia al crepuscolo. È accaduto anche a me, in qualche occasione positiva o in alcuni eventi importanti da me vissuti, di provare questa sensazione: avrei voluto che mi vedesse in quel momento mia madre che sarebbe stata felice con me e, invece, a sera ritrovavo solo la mia normalità in una camera, con la sterile emozione dei complimenti di cortesia ormai del tutto svanita. «Tutto questo è come un nulla», annotava Pavese, se non c'è il calore e l'accoglienza di una presenza veramente umana e amata.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: