martedì 13 dicembre 2005
Bisogna riconoscere che quello che facciamo dipende da ciò che siamo. Si deve, però, aggiungere che, in una certa misura, noi siamo ciò che facciamo e questo ci offre la possibilità di ricreare continuamente noi stessi. S'intitola L'evoluzione creativa e fu pubblicata nel 1907: è l'opera più importante del filosofo francese Henri Bergson che - fatto abbastanza raro - ricevette nel 1927 il Nobel per la letteratura, anche a causa della sua scrittura sempre raffinata. Ne ho scelto un frammento significativo che delinea il profilo dell'uomo nel suo agire. Noi siamo certamente condizionati dalla struttura originaria, dal carattere, dalla dotazione di intelligenza ricevuta, dalla nostra costituzione interiore e fisica. Tante scelte fioriscono proprio da questo terreno primario che reca in sé splendori e miserie e che non ci deve né insuperbire né scoraggiare. Detto questo, però, il filosofo ci ricorda che questa nostra realtà primordiale non
è statica né definitiva. Proprio perché liberi e dotati di volontà, possiamo lavorare su noi stessi e plasmarci. Le nostre azioni possono, allora, diventare uno strumento di "ri-creazione" di noi stessi. È ciò che hanno compiuto molti grandi della storia che si sono duramente imposti progetti e programmi da attuare, reagendo ai loro stessi limiti iniziali. È soprattutto ciò che è stato dimostrato dai santi che spesso hanno ribaltato in virtù certi loro difetti, rendendo fecondo anche un temperamento arido. Noi, dunque, siamo un intreccio di grazia e di libertà, di dono e di volontà, di mistero e di evidenza. Siamo creati da Dio ma egli ci ha fatti in modo tale da essere partecipi della nostra rigenerazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: