domenica 2 dicembre 2007
Nessuno tra i poeti e i pensatori ha trovato risposta alla domanda: «Che cos'è l'amore?». Volete imprigionare la luce? Vi sfuggirà tra le dita!
Può sembrare una domanda banale, soprattutto ai nostri giorni quando la parola «amore» viene pronunciata a ogni pie' sospinto e non solo nelle canzoni. E invece è arduo dare risposta a quell'interrogativo, un po' come cercare una definizione di Dio. Non per nulla s. Giovanni ricorrerà proprio alla parola agàpe, «amore», per definire il mistero di Dio. Ricordo in un film del regista polacco Kieslowski sul primo comandamento del Decalogo la replica di una donna: al suo bambino che le domandava: «Chi è Dio?», rispondeva abbracciandolo forte e dicendogli: «È quello che tu provi ora con me!». Reazioni sempre approssimative e imperfette, dunque, come ci ha ricordato sopra in modo illuminante il teologo russo Pavel Evdokimov, nato a S. Pietroburgo nel 1910 e morto in Francia nel 1970.
Sì, perché l'amore non può essere definito e descritto in pienezza: sarebbe come tentare di chiudere in una mano la luce o far confluire in un piccolo stampo una colata incandescente. L'unica via per conoscerlo è viverlo e, nonostante il molto parlare d'amore fatto da poeti, scrittori, filosofi, psicologi e persone comuni, ci accorgiamo che in questi tempi l'uomo e la donna riescono sempre meno ad amare in modo autentico. Sanno tutto sul sesso, arrivano anche alla bellezza dell'eros e a tutto il suo fascino ma non approdano mai all'amore, quando si può finalmente ripetere la frase della donna del Cantico dei cantici: «Il mio amato è mio e io sono sua. Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (2, 16; 6, 3). Dobbiamo, allora, avviarci di nuovo con impegno e donazione su questo sentiero d'altura la cui meta è assoluta e totale.
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