martedì 5 dicembre 2006
La moderna Cappuccetto Rosso, allevata a suon di spot pubblicitari, non avrebbe nulla in contrario a lasciarsi mangiare dal lupo. Il sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980) è noto soprattutto come il grande antesignano dello studio della comunicazione di massa. In una sua opera del 1955, intitolata La sposa meccanica, affermava con molto realismo che «oggi i modelli di eloquenza non sono più i classici bensì le agenzie pubblicitarie». Senza esagerare, i predicatori dovrebbero badare un po' di più a questo monito per evitare la piattezza dei loro sermoni, se è vero che già un padre del deserto, abbà Sisoes, scherzava su di loro e sui teologi così: «Se Dio avesse incaricato i teologi di scrivere il Decalogo, invece di dieci comandamenti, ne avremmo avuti mille!». Tuttavia McLuhan in quello stesso scritto faceva anche quell'altra considerazione che sopra ho citato. La pubblicità attuale, infatti, riesce sottilmente a condizionare lo spettatore e il lettore fino a renderlo un automa, felice di farsi ingannare fino ad essere divorato. Per raggiungere il suo scopo, infatti, la pubblicità (ma non solo) è pronta a tutto, ad approfittare di ogni ingenuità, ad abbattere ogni difesa, a smorzare la capacità di critica, a violare la dignità della persona e lo stile nei rapporti e nei comportamenti. Cito spesso quanto mi disse una sera il poeta Mario Luzi a Firenze, di fronte alle finestre illuminate delle case ove si notava il riquadro azzurrino del televisore acceso: «Non si sa se la gente è là, davanti a quello schermo, con le mani alzate in segno di resa o di adorazione». Non bisogna mai affievolire la tensione e abbassare la guardia di fronte alla rete della comunicazione odierna e alla sua forza compressiva.
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