martedì 20 settembre 2005
Pietro Wu Guosheng era il gestore di una locanda in una provincia cinese. Del suo albergo aveva fatto la sede di una comunità di cristiani ai quali insegnava il messaggio evangelico e coi quali pregava, guidandoli come un pastore, data la mancanza di sacerdoti. Quando fu trascinato davanti al Mandarino, fu torturato perché egli si rifiutava di calpestare la croce di legno che i suoi giustizieri avevano gettato davanti a
lui. Alla fine fu ucciso a causa del suo rifiuto. Leggo questa sintesi biografica in un saggio sulla Cina del '700-'800: il protagonista è il primo martire cristiano nato nel Celeste Impero (era l'anno 1814 e Pietro aveva 46 anni), beatificato con altri martiri cinesi da Leone XIII nel 1900. La sua è, per certi versi, una storia ordinaria di martirio, simile alle molte che ci sono giunte, spesso con eccessi edificanti, dai primi secoli cristiani. C'è, però, un elemento che mi sembra significativo e originale: il martire cinese non vuole assolutamente calpestare la croce di legno posta per terra. Questa scelta - che forse un moralista avrebbe superato con qualche restrizione mentale - mi sembra una sorta di simbolo generale. Se dovessimo guardare alla nostra vita, quante volte siamo passati, senza imbarazzo, sui valori in cui credevamo, frantumandoli e fingendo di guardare più avanti. C'è nella storia di ciascuno una catena di compromessi e di tradimenti che ci hanno forse salvato la carriera, il successo, i beni materiali, ma hanno umiliato e fin soffocato il respiro dell'anima, la nostra coscienza e coerenza. Il coraggio della fedeltà agli ideali e ai valori in cui si crede è la vera testimonianza e la gloria autentica di una persona.
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