Il 16 giugno di quindici anni fa Mario Rigoni Stern tornava nella sua baita celeste, lassù nelle contrade di Asiago, fra Cima Italia e Malga Portule, il Monte Cengio e l’Ortigara, dove l’Altipiano dei Sette Comuni rivela ancora oggi la sua bellezza più autentica. Uno scorcio di rocce, abeti e pini mughi, dall’Osteria del Termine alla ripida scoscesa che dalla Calà del Sasso sprofonda in Valsugana: questo spazio fatato a lui faceva pensare alla Russia, ai combattimenti di Nikolaevka per sganciarsi dalla micidiale sacca sovietica, ma anche ai tanti gesti di generosità a cui ebbe modo di assistere, compreso quello, celeberrimo, dei soldati con la Stella Rossa cucita sul petto i quali, invece di ucciderlo quando per caso capitò davanti a loro mentre mangiavano, lo invitarono a posare il fucile e spezzare il pane. Me lo immagino impegnato a zappare nell’orto, col cane Sirio che gli scodinzola dietro e Anna Maria pronta a richiamarlo in casa per la cena prima che venga buio. È stato uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, autore di almeno due capolavori, Il sergente nella neve e Storia di Tönle, stilista imprevedibile con un respiro epico difficile da trovare nel regesto spesso aulico delle nostre patrie lettere. Per me e mia moglie un amico che non dimenticheremo mai.
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