domenica 25 settembre 2022
Giuseppe lavora come ausiliario in ospedale. In questi anni passati a combattere nella trincea della lotta al Covid, alcune pratiche che la Chiesa definisce opere di misericordia corporale sono entrate d'impeto nella sua esperienza professionale. Fanno parte di quello che contrattualmente viene definito il suo mansionario, ma la drammaticità delle circostanze in cui si è trovato a viverle ha tracciato un solco incancellabile nelle profondità del suo cuore. Ha dato da bere agli assetati: quante persone con la gola inaridita dalla maschera per l'ossigeno in quei giorni invocavano un sorso d'acqua. Ha dato da mangiare agli affamati: quante volte si è trovato a imboccare chi non aveva più energie per nutrirsi da solo. Rivede i volti sconvolti di chi arrivava in ospedale senza vestiti di ricambio, trasportato d'urgenza da casa a sirene spiegate prima che fosse troppo tardi: “Vestire gli ignudi”. Ricorda i cadaveri che ha messo nelle sacche prima che venissero portati via: “Seppellire i morti”. Quello che la Chiesa indica da secoli come un'elementare pratica di carità ha smesso di appartenere ai ricordi ammuffiti del catechismo imparato da bambino in parrocchia, è diventato la sfida quotidiana con cui misurarsi. Una vertiginosa immersione nel dolore ha dato nuovo sapore alla sua fede.
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