Arriva il Virtual coach e io mi autodenuncio
mercoledì 22 gennaio 2020
La rivoluzione sta arrivando. Non si tratta soltanto di calcio, naturalmente, perché il calcio, in generale lo sport, spesso anticipano discussioni e temi che cambiano il modo di leggere la realtà. Questa volta, apparentemente, il mondo del calcio arriva tardi e, con le doverose eccezioni, sembra muoversi in modo reazionario. La rivoluzione sta arrivando grazie all'imminente esordio del virtual coach sulle panchine della Serie A del nostro campionato. Qualcuno ha letto questo fatto epocale come una specie di attacco della matematica alla poesia del calcio, una minaccia per gli allenatori in carne e ossa. In verità hanno contribuito anche alcuni di loro, gli allenatori, rilasciando dichiarazioni un po' sconcertanti. Come se un illustre luminare di medicina avesse dichiarato: "Gli esami del sangue dei miei pazienti io non li guardo mai!" o se il controllore di volo di un grande aeroporto avesse detto: "A me piace guardare gli aerei volare, preferisco spegnere il computer e andare a occhio".
Ho fatto l'allenatore per tantissimi anni, ho lavorato in uno sport, la pallavolo, dove l'analisi statistica è un necessario strumento di organizzazione dell'allenamento, di lettura del match, di analisi della prestazione. Anzi, mi autodenuncio: nel 2013, alla guida della nazionale italiana maschile, dopo un incontro con Alfio Quarteroni, geniale matematico che insegna come gli algoritmi possano contribuire a salvare vite umane, a preservare l'ambiente o a migliorare delle prestazioni sportive, lavorai con i suoi straordinari ragazzi e con Ottavio Crivaro, ingegnere, amministratore delegato di MoxOff (spinoff del Politecnico di Milano) e pallavolista. Nacque una meravigliosa collaborazione che portò a mettere a punto degli strumenti matematici che ci permisero di migliorare gesti tecnici, potenziare la preparazione dei match, arrivare a un'incredibile mole di dati di previsione del comportamento del palleggiatore della squadra avversaria. Da quell'esperienza nacque Math&Sport, società incubata dal Politecnico di Milano, che ha prodotto il software di cui tanto si parla in questi tempi, in arrivo sulle panchine del calcio di serie A.
La matematica e lo sport, dunque: interazione o contagio? Opportunità o minaccia? Beh, mi viene sinceramente da sorridere. Non c'è mai stato un minuto della mia carriera in cui mi sia sentito depotenziato nel ricevere un'informazione. Semmai esattamente il contrario: la possibilità di ricevere dati, informazioni che l'occhio umano non può rilevare, migliorava le mie capacità di allenare. Un tablet in panchina è uno strumento e il modo di usare gli strumenti dipende dagli esseri umani. Con un bisturi si può tagliare la gola a una persona, oppure salvarle la vita in una sala operatoria. L'oggetto è sempre quello, ma il suo utilizzo sta nell'intelligenza delle mani che lo usano. Viviamo in un mondo dove ci si esprime sull'opportunità di vaccinare un bambino sulla base delle opinioni della propria cugina o dove qualcuno ancora crede nella possibilità di conoscere il proprio futuro sedendosi al tavolino di una cartomante.
Beh, io non credo ai tarocchi, credo invece nella enorme potenzialità del saper mettere insieme scienza e umanesimo. Credo, addirittura, nella meravigliosa possibilità che la scienza possa contribuire al miglioramento e alla qualità della vita. Credo anche che ci sia un modo di fare bene scienza, politica, economia, sport e ce ne sia un altro di farli male: la differenza sta sempre nell'uomo. Come peraltro sosteneva uno dei più grandi geni della storia dell'umanità, di cui recentemente abbiamo celebrato il cinquecentesimo anniversario della scomparsa. Si chiamava Leonardo Da Vinci, teneva meravigliosamente insieme scienza e poesia e sarebbe stato uno straordinario allenatore di calcio.
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